30-5-22
Un articolo scritto dal Presidente Beniamino A. Piccone per Milano Finanza.
Nell’agosto 1975, in occasione della nomina a Governatore della Banca d’Italia di Paolo Baffi, che succedette a Guido Carli – in carica dal 1960 al 1975 – furono in molti a rallegrarsi della nomina. Tra i tanti, Altieri Spinelli, grande europeista, che intratteneva con Baffi un rapporto di stima e amicizia. Baffi, noto per il suo linguaggio affilato e senza fronzoli, rispose a Spinelli il 17 settembre 1975 con queste parole: “Caro dott. Spinelli, anche se il gentile ricordo Suo e della signora Ursula (Hirshmann, che sposò Spinelli dopo l’assassinio nel 1944 da parte dei fascisti di suo marito Eugenio Colorni) mi è molto caro, debbo aggiungere che la mia nomina è intervenuta in una situazione nella quale lo stesso nome di governatore è anacronistico, poiché i flussi monetari sono creati per intero (e non solo nel senso dell’espansione) per conto del Tesoro al quale non si può dire di no”.
Baffi non usava mezze misure, non si sentiva di governare la moneta, poiché il Tesoro spendeva all’impazzata.
Non si contano le lettere di fuoco che Baffi spediva al ministro del Tesoro Emilio Colombo e al suo sottosegretario di allora Ferdinando Ventriglia (O’ Professore). Sarà proprio Baffi a spingere per fermare la conuetudine che vedeva la Banca d’Italia obbligata a comprare sempre i titoli di Stato andati invenduti in asta. Si trattava di lavorare il terreno per il “divorzio” tra Banca d’Italia e Tesoro, portato a termine nel 1981 dal successore di Baffi, Carlo Azeglio Ciampi, in accordo con Beniamino Andreatta, eccellente ministro del Tesoro. Sul “divorzio” è opportuno citare l’opinione icastica di Mario Sarcinelli, vice direttore generale della Banca ai tempi di Baffi (nonché responsabile della Vigilanza), che disse: “Non c’è stato alcun divorzio, poiché il matrimonio non è stato mai celebrato”.
Grazie all’evoluzione del dibattito (un contributo importante è venuto da Alberto Alesina, ricordato in Bocconi settimana scorsa) e al confronto degli studiosi della moneta, nei Paesi sviluppati è emersa col tempo la necessità di rendere indipendenti dal potere politico le banche centrali, che oggi hanno un mandato chiaro: la stabilità dei prezzi, la difesa del potere d’acquisto.
Se negli ultimi 10 anni in Europa si è combattuto – Mario Draghi in primis – per far salire l’inflazione, eccessivamente bassa, ora la Banca Centrale Europea si trova davanti a un cambio di paradigma, dove i prezzi volano, l’inflazione corre e non si sa come correre ai ripari, mentre il conflitto in Ucraina mette a rischio la crescita economica.
Se Paolo Baffi si trovava impotente davanti alla crescita della massa monetaria causata dal Tesoro, che in tal modo “comprava”, tramite la spesa pubblica corrente, il consenso degli elettori, oggi Christine Lagarde e il Comitato Esecutivo della BCE, davanti all’inflazione importata, temono di poter fare poco. Fabio Panetta, autorevole membro del Comitato, ha invitato alla gradualità: “Nel primo trimestre la crescita è stata dello 0,2 per cento, e senza i picchi registrati in alcuni Paesi – che potrebbero essere in parte “una tantum” – sarebbe stata nulla. Le maggiori economie soffrono: il Pil decelera in Spagna, è fermo in Francia e in calo in Italia. In Germania la dinamica è contenuta e mostra un indebolimento da fine febbraio, l’attimo in cui tutto è cambiato». Oltretutto, «l’inflazione è alimentata da fattori internazionali che riducono il potere di acquisto e indeboliscono la domanda per consumi e investimenti. I margini di manovra della politica monetaria per influire su questa inflazione importata sono limitati, dobbiamo ammetterlo. Il motore dell’inflazione è globale, non europeo».
Che fare? Mentre il dollaro si rivaluta, un euro debole significa importare inflazione. Se non altro, ribatte Panetta, un euro forte «peserebbe sulla domanda estera, danneggiando ulteriormente la crescita».
Baffi chiuse la lettera con Altiero Spinelli scrivendo che “più che le felicitazioni mi si addice la simpatia degli amici”. Ma quale simpatia? Il Governatore studioso della moneta in uno scritto in onore di Adam Smith spiegò bene il suo pensiero: “La simpatia comporta necessariamente il rispetto dell’individualità e la capacità di partecipare al senso di frustrazione che una persona deve provare quando le sue preferenze sono trascurate”.
Anche la Lagarde oggi, con tutta probabilità, vivrà momenti di frustrazione, ma deve procedere su due fronti: riportare i tassi di interesse ufficiali in territorio positivo e insistere con un’adeguata “moral suasion” affinché intervengano i singoli Stati europei con le politiche fiscali, capaci di assorbire (tramite il taglio delle accise o sussidi sulle bollette) lo shock esterno energetico.
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