1-4-22
Una riflessione scritta dal Presidente Beniamino A. Piccone per The Social Post, in occasione dei 46 anni compiuti da John Elkann, il cammino compiuto dall’erede di Gianni Agnelli.
Quali sono le tradizioni di famiglia che hanno permesso a John Elkann di diventare l’erede della dinastia e come lui ha fatto tesoro dalla visione di Gianni Agnelli e di Sergio Marchionne
Il 1° aprile John Elkann, designato dal nonno Gianni Agnelli a capo del Gruppo Fiat, compie 46 anni. Tre figli – Leone Mosè, Oceano Noah e Vita Talita -, avuti dalla moglie Lavinia Borromeo (la sorella Beatrice ha sposato Pierre Casiraghi, la cui madre è Carolina di Monaco), e una vita all’insegna del lavoro: così dettano le regole piemontesi per il primogenito, che sempre è preferito al Cadetto secondogenito. Così successe anche ad Umberto Agnelli, che subì sempre le scelte del fratello più grande, Gianni, l’Avvocato, uomo di grande charme e intelligenza, poco portato per la vita in azienda e le scelte gestionali.
Non a caso, Gianni stette per tanti anni lontano dal quartier generale di Fiat (Fabbrica Italiana Automobili Torino) al Lingotto, dove aveva pieni poteri Vittorio Valletta, manager fermo e capace, scelto dal padre di Gianni, Giovanni, che morì prematuramente in un incidente (14 luglio 1935) a soli 43 anni durante l’ammaraggio del suo idrovolante.
Il debutto di John Elkann
Una volta laureato al Politecnico di Torino in Ingegneria gestionale (con il voto di 95/110), Elkann è stato accompagnato nel percorso di crescita manageriale da Gianluigi Gabetti, uomo di grande esperienza (già collaboratore di Adriano Olivetti e di Raffaele Mattioli della Banca Commerciale Italiana) e l’avvocato di fiducia dell’Avvocato, Franzo Grande Stevens.
Il fratello di John, Lapo Elkann, da buon cadetto e dalla vita un po’ agitata, è stato lasciato ai margini.
Oggi Elkann detiene numerose cariche che ne fanno un uomo di grande potere: è presidente e amministratore delegato di Exor, la holding quotata controllata dalla famiglia, presidente di Stellantis (società frutto della fusione tra Fiat e Peugeot), presidente esecutivo di Ferrari, presidente di GEDI Gruppo Editoriale (che controlla Repubblica, La Stampa, Il Secolo XIX, HuffPost e diverse testate locali; L’Espresso è stata venduto di recente al gruppo BFC Media), presidente della Fondazione Agnelli, che si occupa fattivamente del mondo della scuola (bravissimo il direttore Andrea Gavosto).
La famiglia Agnelli e gli Elkann
La famiglia Agnelli è sempre stata legata al business automobilistico e alla Juventus. Oggi si può dire la stessa cosa? Non proprio. La EXOR, holding di investimento, ha tra le sue partecipazioni il colosso riassicurativo Partner Re, Stellantis, Ferrari, CNH Industrial, Juventus, The Economist Group e Louboutin.
Se guardiamo al valore delle partecipazioni, capiamo che Elkann ha disegnato negli anni una strategia volta a diminuire in modo significativo il peso dell’automobile nel portafoglio di famiglia. Il business delle vetture è stato considerato eccessivamente rischioso e negli anni, prima dell’arrivo di Sergio Marchionne – manager straordinario che ha letteralmente salvato la Fiat -, è stato fonte di colossali perdite, che hanno spaventato tutti i rami della famiglia.
Sergio Marchionne: l’incompreso che ha salvato la Fiat
Mentre Marchionne avrebbe voluto premere sul piede dell’acceleratore e creare un gruppo automobilistico mondiale controllato dalla famiglia Agnelli, la famiglia ha preferito spostare la centralità del gruppo su altri business, facendo tramontare il sogno del manager nativo di Chieti.
Nella tragica estate del 2018, quando Marchionne si fece ricoverare a Zurigo per un intervento delicato per asportare un tumore maligno, Elkann non sapeva nulla. Quando si recò a chiedere informazioni, gli vennero in un primo momento negate e poi gli venne comunicato il decesso.
Arrivato a Torino nell’estate del 2004, Sergio Marchionne trovò una situazione disastrosa, prefallimentare.
Con dedizione e incredibile forza morale, riuscì nell’impresa di risollevare le sorti del Gruppo. L’Italia non ha mai capito Marchionne.
L’economista Fabiano Schivardi lo ha definito “l’incompreso”, Paolo Bricco (che ha scritto un pregevole volume) “lo straniero”. Mario Calabresi da direttore de la Stampa lo intervistò e scrisse: “Marchionne aveva fame, quella voglia di rivalsa e di affermazione che nasce dalla fatica e dall’emigrazione” (dall’Abruzzo al Canada, ndr).
Il futuro di Elkann poco romantico e molto redditizio
Il compito di Elkann è stato portato a termine in modo egregio. Oggi il peso dell’auto in Exor è limitato a una partecipazione di minoranza (14%) in Stellantis – guidata da un “car guy” di valore come Carlos Tavares, di nazionalità portoghese – e in Ferrari (di cui detiene il 36% circa). La gran parte del Net Asset Value (NAV) di Exor è dato dalla partecipazione totalitaria in Partners Re, acquisita nel 2016 per 6,9 miliardi di dollari e ceduta alla fine del 2021 a Covea per ben 9 miliardi). Mentre scriviamo la capitalizzazione di Borsa di Exor è pari a 15,6 miliardi di euro.
Cosa farà Elkann nel prossimo futuro? Lo ha dichiarato lui stesso, punterà su settori diversi dall’automotive diversificando il portafoglio delle partecipazioni. Avremo una Exor sempre meno “automobilistica” e sempre più dedita a investimenti meno ciclici, così da garantire ai membri della famiglia dei corposi – e stabili – dividendi. Così Elkann: “Il futuro di Exor passa per la sua generazione di cassa e a quella – a fine 2021 abbiamo un miliardo di euro – si aggiungono i proventi della vendita di Partners Re. Vuol dire che avremo 10 miliardi di euro di disponibilità nella prima metà dell’anno prossimo”.
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