20-07-22
In vista della fiducia rinnovata al governo Draghi, il Presidente Beniamino A. Piccone ha scritto una riflessione per Milano Finanza.
In occasione della morte di Eugenio Scalfari, sono in molti ad aver ricordato il suo editoriale del 14 gennaio 1976 – giorno di esordio del quotidiano – dal titolo È vuoto il Palazzo del potere, dove il fondatore di Repubblica e L’Espresso spiegava come «un’economia senza guida politica è un corpo senza testa». A distanza di 46 anni, l’Italia si trova in una situazione simile, davanti all’odierno cruciale voto di fiducia alla Camera e al Senato, dove il presidente del Consiglio in carica Mario Draghi è alla ricerca di un ampio sostegno della sua maggioranza, nata nel febbraio dell’anno scorso, quando il presidente della Repubblica Sergio Mattarella chiamò per formare un governo l’ex banchiere centrale per superare le emergenze – economica, pandemica e sociale – che attanagliavano il Belpaese. Peraltro in questo 2022 le emergenze sono rimaste tali, visto il conflitto in Ucraina, il rialzo dei prezzi delle materie prime, l’inflazione galoppante e il rallentamento della crescita.
Nel 1976 la Banca d’Italia era guidata da Paolo Baffi (che venne nominato anche grazie a Ugo La Malfa ed Enrico Berlinguer nell’agosto 1975, dopo quindici anni di governatorato Carli), il governatore della Vigilanza, persona tanto seria e competente, quanto integerrima, che iniziò proprio in quegli anni la «battaglia della persuasione», sottolineando l’importanza di una banca centrale indipendente dal potere politico e al contempo disposta a rendicontare il proprio operato all’opinione pubblica. Scalfari, d’accordo con Baffi, decise quindi il 14 gennaio di pubblicare un intervento recente del governatore pubblicato sul mensile britannico The banker, col titolo Italy’s narrow path. Scalfari tradusse «il difficile sentiero dell’Italia», ma Baffi scrisse a Scalfari una lettera di puntualizzazione: «Mi rendo conto che difficile è più dell’uso italiano ma preferirei tradurre letteralmente angusto che dà l’idea di quei sentieri su terreno friabile, in cresta alle morene, “stretti” fra opposti ripidi declivi della inflazione e della deflazione: della disoccupazione e del disavanzo esterno». La notazione filologica fa capire quanto Baffi fosse esigente e meticoloso. Ma è da notare soprattutto il quadro macroeconomico, che a distanza di lustri si trova a vivere una situazione simile, con alta inflazione importata e rallentamento dello sviluppo economico. Ciò che è cambiato, e che ci salva, è il fatto che siamo nell’Unione Europea con una valuta comune. Solo a pensare come saremmo messi con la lira vengono i brividi.
Nell’articolo Baffi analizzò l’impatto che la struttura salariale italiana – non coerente con la produttività del sistema – finisce per avere sugli equilibri economici. Il governatore, molto critico con la politica economica dell’epoca (l’accordo sul punto unico di contingenza siglato tra la Confindustria guidata da Gianni Agnelli e la Cgil di Luciano Lama è del 1975), scrisse che «da parte del governo, l’impulso alla crescita dovrà muovere non dalla continua espansione dei trasferimento di reddito e delle altre spese correnti, bensì da un penoso sforzo inteso a migliorare l’efficienza della pubblica amministrazione e la qualità della spesa pubblica».
L’analisi di Baffi è, nonostante gli anni trascorsi, di stretta attualità. A fronte delle pressanti richieste di aumento della spesa corrente da parte del Movimento 5 Stelle – il cui presidente Giuseppe Conte si vantò di non aver mai aperto un libro di matematica – Mario Draghi ha risposto picche, non cedendo alle lusinghe dello scostamento di bilancio – alias altro debito pubblico scaricato sulle prossime generazioni. Ci vorrebbe Tommaso Padoa-Schioppa a rimarcare con parole sferzanti la necessità di migliorare in modo significativo la qualità della spesa corrente, annacquata da voci improduttive.
Nella parte finale della dissertazione Baffi insistette sulla necessità di consapevolezza del sindacato: «I sindacati vanno dimostrando una maggiore consapevolezza delle necessità insite nelle situazioni, anche in termini di mobilità di lavoro. Un nuovo atteggiamento mentale è percettibile, nel quale l’ideologia cede il posto al riconoscimento analitico delle realtà, e ovunque si investiga di più nei propri animi, si riconsiderano le proprie idee e se ne cercano di nuove; ciò offre motivi a sperare che il Paese sappia trovare l’energia morale e il realismo per affrontare le difficoltà che sta incontrando sulla sua strada verso una società più moderna e più giusta». Quanto ci manca Paolo Baffi, imperituro, il quale ci invita ancora oggi a investigare nel nostro animo, toglierci la corazza e guardare con attenzione alla realtà. Solo così faremo passi avanti verso una società più moderna e più giusta.
Scalfari chiudeva così il suo pezzo: «Il quadro, complessivamente, è modesto. Per fortuna c’è anche un Paese che cresce e che nonostante tutto è più robusto dei pesi che si porta sulle spalle». A distanza di 46 anni, possiamo dire la stessa cosa: il pil cresce, il sistema imprenditoriale italiano dimostra una vitalità sorprendente, la buona economia, cara a Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, è la strada maestra per superare l’«angusto sentiero».
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