Un’intervista del Presidente Beniamino A. Piccone al quotidiano digitale AFFARITALIANI.IT
La logica dei provvedimenti governativi è basata su un modello assistenziale senza condizioni: la forza del sistema delle imprese è ampiamente sottovalutata.
Quando Sergio Marchionne arrivò alla Fiat nell’estate del 2004, dopo un giro in Europa nel mese di luglio, ad agosto piombò al Lingotto e non c’era nessuno (allora le perdite giornaliere erano pari a 5 milioni di euro). Sbigottito, chiese: “Ma la gente dov’è?” … “Sono in ferie”, gli risposero. Al che il manager italo-canadese rispose: “In ferie da cosa?”.
Beniamino A. Piccone, Docente di Sistema Finanziario all’Università Carlo Cattaneo – LIUC, ha appena pubblicato sulla Gazzetta del Mezzogiorno un sentito richiamo al Governo in termini di progettualità. Il suo parere, condiviso da molti purtroppo, è che il decreto cosiddetto “Rilancio” sia un immenso colabrodo. Regala a destra e a manca senza un progetto, una linea di crescita. Tutto a tutti, a pioggia. Così da non escludere nessuno ed accontentare tutti. Ma prima di distribuire è necessario produrre.
Desideriamo approfondire con lui, nella sua veste di presidente di APE, Associazione per il Progresso Economico, questo tema, molto concreto e decisamente focale per risolvere i problemi italiani.
Il decreto rilancio
Prof. Piccone, come possiamo reagire alla mancanza di progettualità che lei attribuisce al Governo?
“Memore del racconto di Marchionne accennato in apertura, tutti quanti dovremmo chiederci quale senso abbia un decreto cosiddetto “Rilancio” che prevede bonus per le vacanze. Ma l’Italia, piena di gente fattiva, di partite iva, di imprenditori, di professionisti, commercianti e artigiani costretti a un lungo lockdown, vuole tornare a lavorare, a produrre. Altro che vacanze! Vacanze da cosa, se non si hanno i soldi per tirare avanti?
Tornano in mente le parole, splendide, di Luigi Einaudi: “… Migliaia, milioni di individui lavorano, producono e risparmiano nonostante tutto quello che noi possiamo inventare per molestarli, incepparli, scoraggiarli. E’ la vocazione naturale che li spinge, non soltanto la sete di denaro. Il gusto, l’orgoglio di vedere la propria azienda prosperare, acquistare credito, ispirare fiducia a clientele sempre più vaste, ampliare gli impianti, abbellire le sedi, costituiscono una molla di progresso altrettanto potente che il guadagno. Se così non fosse, non si spiegherebbe come ci siano imprenditori che nella propria azienda prodigano tutte le loro energie e investono tutti i loro capitali per ritrarre spesso utili di gran lunga più modesti di quelli che potrebbero sicuramente e comodamente ottenere con altri impieghi.”
Su cosa è basata la logica dei provvedimenti governativi, secondo lei?
“La logica dei provvedimenti governativi è basata su un modello assistenziale senza condizioni, dove la forza del sistema delle imprese è ampiamente sottovalutata. E’ un continuo parlare di modello neoliberista quando nel nostro Paese oltre il 50% delle risorse sono intermediate dallo Stato. Purtroppo le forze pro-mercato sono in netta minoranza. I mercati finanziari sono considerati “brutti e cattivi”, quando potrebbero supportare le medie imprese che volessero uscire dallo stantio finanziamento bancario. Fino a che l’Italia non uscirà dal modello banco-centrico, le imprese nell’accesso al credito subiranno gli alti e bassi legati al ciclo economico. I mercati finanziari – che da inizio anno penalizzano le azioni delle banche quotate, scese tra il 40 e il 50% – scontano l’inevitabile esplosione dei crediti incagliati (alias non performing loans – Npl).”
Siamo sempre alle prese con la fame di consenso dei politici?
“Eh, sì, la politica ama elargire denari, per guadagnare consenso. Ci si chiede se abbia ancora senso lo Stato imprenditore, dopo la stagione dell’IRI, folgorante negli anni Cinquanta e Sessanta, poi sempre più declinante alla fine del XX secolo. Oggi le uniche grandi imprese italiane a controllo pubblico sono ENI ed ENEL. Sono ben gestite, grazie anche al monitoraggio e al controllo svolto dai mercati finanziari. Lo Stato, più che avere un ruolo come innovatore, dovrebbe creare le condizioni ottimali agli imprenditori per fare impresa. Più che una «politica industriale», ci vorrebbe una «politica per l’industria»”.
Quale può essere il ruolo dello Stato?
“Pensare che possa essere lo Stato a scegliere i vincitori futuri nei singoli settori è un’utopia. Franco Debenedetti ha buon gioco nello smontare le tesi di Mariana Mazzucato (consigliera del premier Giuseppe Conte), rimarcando che «l’innovazione non nasce nel vuoto, bensì ha bisogno del mercato per essere pensata, dell’imprenditore per essere realizzata, del consumatore per essere giudicata». Ha poca solidità la diceria secondo la quale Steve Jobs, fondatore di Apple, avrebbe dotato gli smartphone di touch screen grazie alle borse di studio – pagate dallo Stato – dei suoi inventori. Vero è che gli Stati Uniti investono molte risorse nella spesa militare, la quale ha riflessi positivi per gli imprenditori che sanno combinare quelle scoperte con la domanda dei consumatori”.
Ma che cosa devono aspettarsi gli italiani nel dopo-coronavirus?
“In questa pandemia l’Italia ha dimostrato di avere capacità governative deboli e leader istituzionali mediocri, fattori che renderanno asimmetriche le conseguenze dello shock simmetrico del coronavirus. Nella “Fattoria degli animali” di George Orwell, “tutti sono uguali ma alcuni sono più uguali di altri”. Ancora una volta saremo noi italiani, dotati di una classe dirigente inadeguata, a pagare più di altri Paesi il calo dell’attività economica, che sarà ben superiore a quella dei nostri partner europei, che alle elezioni scelgono persone capaci, competenti e lontanissimi dalla cultura dell’“uno vale uno”. Dubitate? Andate subito a vedere il discorso di Angela Merkel al Bundestag. Poi fate i debiti confronti.”
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