Nella splendida cornice di Palazzo Visconti si è tenuta un’altra serata di grande interesse, con due ospiti che tutti i presenti hanno apprezzato: Michele Uva, dirigente della FIGC e vicepresidente dell’UEFA e Marco Bellinazzo, giornalista del Sole 24 Ore specializzato su calcio & business, il cui blog merita di essere letto.
Marco Bellinazzo ha anticipato i temi di un suo prossimo libro in uscita – La fine del calcio italiano – che fortunatamente è una provocazione, perchè nel volume si spiega come ridisegnare il quadro generale, così da consentire alla prossima tornata di essere presenti ai Mondiali.
Michele Uva ha raccontato di aver seguito la sua passione sportiva. A un passo dalla laurea in farmacia, ha seguito il cuore (sostenuto dai genitori) e si è trasferito a Treviso dove ha gestito la squadra di pallavolo dei Benetton, per poi fare carriera (con fatica, perchè è veramente bravo) in Federazione.
Uva, dall’alto del suo balcone privilegiato di osservazione, è ottimista sul sistema calcio perchè sono veramente tanti i bambini che continuano a giocare a pallone (ed entrare nel mondo delle federazioni sportive). E’ bello vedere un dirigente padroneggiare i temi, dimostrare competenza, visione, spirito di squadra ed esperienza internazionale (“Alla Fifa si impara molto e lavorare su budget di 4 miliardi di euro a stagione non è uno scherzo”).
Dopo l’intervento dei due relatori il presidente dell’APE Beniamino Piccone ha dato la parola ad Alessandro Aleotti, presidente della terza squadra di calcio di Milano, il Brera Calcio. Aleotti, laureato alla Bocconi e uomo dai mille interessi, ha evidenziato come “l’esclusione dai mondiali in Russia sia solo un sintomo di un male più profondo del calcio italiano: l’incapacità di assumere, nonostante la sua straordinaria forza di attrazione, un ruolo civile e sportivo per il Paese. Finora il nostro calcio non è stato in grado di mettere a disposizione del Paese la sua straordinaria potenzialità. Tutto ciò accade per due ragioni: la mancanza di chiarezza rispetto agli obiettivi che si deve porre il calcio e la totale autoreferenzialità delle classi dirigenti che lo governano. Bisogna rompere questa gabbia autoreferenziale perchè il calcio è un patrimonio collettivo del Paese”.
Con la folta presenza di tanti studenti LIUC, le domande sono state molte, e parecchio interessanti. In sintesi:
- La scuola superiore deve avere nei confronti dello sport un atteggiamento diverso rispetto ad oggi. Lo studente-sportivo, invece di essere incoraggiato, viene ostacolato. Il vero buco è nei programmi di attività e valorizzazione dello sport a scuola, dove è assente e irrilevante: “Serve più sport nella scuola, dice Uva, per trasmettere e rilanciare il valore educativo che lo sport porta con sè. Serve che in tutte le scuole si faccia seriamente pratica sportiva, in palestra o all’aria aperta, dove persone preparate possano insegnare l’etica, la cultura, l’alimentazione e la pratica di una competizione sana”.
- La Federazione italiana sta investendo nei giovani. Siamo in tutte le finali nelle competizioni internazionali under 17. Questi risultati derivano dagli investimenti effettuati negli anni scorsi, quando la nazionale maggiore aveva uno staff super, mentre le squadre nazionali minori avevano l’allenatore e stop. Si sono introdotti dietologi, preparatori, stessa organizzazione degli staff. Uva ha sottolineato come il successo del calcio giovanile odierno è da riconndurre al “life cycle” del business calcistico: nel post 2006 (vittoria a Mondiali a Berlino con Lippi) non si è investito in infrastrutture, brand e competizione. Il risultato è stato penuria di incassi nel settore serie A + scarsa competitività a livello europeo. Investire paga. Non subito. Nel medio termine (e non siamo tutti morti come diceva Keynes). Ci vuole serietà e dedizione.
- Senza investimenti non si va da nessuna parte. Come è scritto nel volume di Michele Uva e Marco Vitale, Viaggio nello sport italiano (ESD, 2011), “la cultura e lo sport non devono essere considerati un lusso per i ricchi. Sono autentici investimenti, essenziali di ogni progetto di sviluppo. Una popolazione sana, colta, sportiva, è, infatti, ingrediente essenziale per ogni credibile progetto di sviluppo”.
- Il Var introdotto nel nostro campionato è stato un grande successo. Meno proteste, meno decisioni contestate. Marco Vitale, in chiusura chiede però come mai non si reintroduce il sorteggio dell’arbitro, cosa che fu introdotta l’ultima volta nel 1984-85 e proprio in quell’anno vinse lo scudetto l’outsider Verona, guidato da Schopenauer (definizione coniata dal grande Gianni Brera) Bagnoli, che gestì meravigliosamente una squadra composta, tra gli altri, da Di Gennario, Garella, Fanna, Marangon, Elkjaer.
- Le regole per il contenimento dei deficit di bilancio (Fair-play rule) delle squadre europee hanno funzionato bene. Bisogna continuare in questa direzione.
- In Italia in questi 20 anni sono mancate la programmazione e gli investimenti. Nel 2000 il Barcellona fatturava meno della Juventus. Ora sono a centinaia di milioni di distanza. Il Barcellona, il Real Madrid, il Manchester United hanno investito (e hanno uffici) in tutto il mondo, specialmente in Asia.
- Inter e Milan devono ancora trovare una loro collocazione, dopo la stagione dei mecenati.
In chiusura il presidente Piccone ha citato un passaggio su Walter Bonatti (tratto dal volume Uva-Vitale di cui sopra) che ha emozionato la platea:
“Lo sport è un passaggio di incivilimento, gioia, tensione. Lo sport è vita. Ma come tutte le attività umane, anche lo sport non va mitizzato. Anche qui, si trovano violenze, viltà, egoismo, imbroglio, falsità….La cattiveria e l’egoismo di Compagnoni e Lacedelli (qui un intervento che ricorda la vicenda del K2, ndr) che, sul K2, nel 1954, fecero in modo che il poco più che ventenne Bonatti passasse la notte al gelo degli ottomila metri (con l’hunza Mahdi che perse le dita dei piedi e delle mani, ndr), pur di non averlo tra loro come possibile rivale per la tratta finale per la conquista della prestigiosa verra, non è un fatto isolato…Ma ancora oggi, salendo lungo la valle dal Karakorum, i figli e i nipoti dei portatori che salirono con la spedizione italiana nel 1954 non ti parlano di Lacedelli e Compagnoni, ma di Walter Bonatti”.
Applausi, gente contenta, il gruppo giovani dell’APE ben felice di aver partecipato alla serata. Come dice spesso il past president Pippo Amoroso, chi non viene, non sa cosa si perde.
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