Il coro dei commentatori, dei giornalisti e degli “opinion makers” è unanime: Trump ha superato se stesso, va di male in peggio, dovrebbe ritirarsi; Hillary ha vinto anche il secondo confronto TV, la partita è chiusa…
E’ davvero così? Possibile che un candidato alla Presidenza degli USA, con i mezzi di cui dispone, sia così sprovveduto come appare? E se, invece, ciò che accade fosse voluto, se il rischio di comportamenti così “estremi” fosse calcolato?
Viviamo tempi fuori dal comune, con difficoltà materiali, umane e culturali mai affrontate prima d’ora.
Trump non potrebbe mai competere con la Clinton sulla conquista dei voti degli ispanici, dei neri, dell’elettorato tradizionalmente legato al partito democratico.
Ma oggi in tutto il mondo, ed anche negli USA, serpeggia un forte malessere economico ed una viscerale protesta contro il potere costituito.
Negli States la situazione è aggravata dalla relativa novità di una recessione che dura ormai da parecchi anni e che confligge con un modello economico sociale fondato da decenni sull’indebitamento del cittadino-consumatore, indotto a spendere sempre e comunque, ma privo da qualche tempo della tradizionale copertura bancaria fondata sulle garanzie ipotecarie, crollate con la crisi dei “subprimes”.
La reazione del cittadino americano medio si è già manifestata e si manifesterà ancor di più nel prossimo futuro con comportamenti irrazionali, “di pancia”, nei quali non conta affatto la qualità del candidato, ma il suo collocamento “contro” il sistema, individuato come unico responsabile dei malanni patiti dal cittadino elettore.
Come meravigliarsi, allora, se Trump eccede, “sbraca”, parla e si comporta in modo volgare? C’è un elettorato ben preciso che richiede proprio questo modello di candidato.
La domanda, semmai, è un’altra: quanto pesa?
Giuseppe Amoroso