Un articolo scritto dal Presidente Beniamino A. Piccone per Econopoly-Il Sole 24 Ore.
Il 2020 sarà ricordato come uno degli anni più difficili della storia recente. Nessuna delle crisi finanziarie degli ultimi decenni (crisi sub-prime nel 2008, la dot-com bubble nel 2000, o anche la crisi petrolifera alla fine degli anni ‘70) ha avuto un impatto di così grande portata. Quasi tutti i settori sono stati colpiti – in maniera diretta ed indiretta – ed in molti si chiedono come farà l’Italia a ripartire.
Secondo un’indagine di Confcommercio, in collaborazione con SWG, a due settimane dall’inizio della fase due, solo l’82% delle imprese del commercio e dei servizi ha deciso di riaprire (di cui, solo il 73% dei bar e ristoranti). E i dati non sono difficili da credere: le misure restrittive sono ancora estremamente complicate (soprattutto nel settore ristorazione e turismo), e la paura per il coronavirus non è certo passata. È facile prevedere che, ancora per qualche settimana o mese, molte piccole attività commerciali avranno a che fare con ricavi decisamente inferiori alla media del periodo. Se a questo sommiamo che, per buona parte del settore turistico, la stagione primavera/estate serve a coprire il fabbisogno annuale di intere aziende, non ci sorprende leggere che circa il 30% delle attività che hanno riaperto è a rischio chiusura nei prossimi mesi.
È chiaro che bisogna fare qualcosa per aiutare il tessuto imprenditoriale del nostro paese, se non vogliamo rischiare una depressione di cui è difficile prevedere la fine. In molti in queste settimane hanno fatto appello ad un ipotetico piano Marshall. Qualcuno lo ha richiesto per l’Italia, qualcuno per l’Europa, qualcuno per l’Africa. Pochi sanno come fu effettivamente attuato il Piano Marshall, ma solo il fatto di citarlo, rende tronfi e soddisfatti.
Siccome gli Stati Uniti sono stati colpiti come l’Europa, un nuovo piano Marshall (“European Recovery Program”) non è pensabile per cui giustamente l’Europa ha pensato di fare da sè, disegnando un piano di ricostruzione di ben 750 miliardi di euro chiamato “Next Generation EU”, che – già dal nome – ha l’obiettivo di pensare alle nuove generazioni attraverso il rilancio della ripresa economica, la protezione dell’occupazione e la creazione di nuovi posti di lavoro.
Il tema chiave è sapere quando arriveranno i fondi dall’Unione Europea perché in una crisi combinata di domanda e offerta, la variabile temporale è decisiva: molte aziende nelle condizioni attuali saranno costrette a chiudere prima che i risultati di un qualsiasi programma di aiuti pubblici si facciano sentire. Che fare, quindi? Per capire come uscire da questa crisi, è utile innanzitutto capirne le fondamenta.
Fino al febbraio 2020, uno dei problemi più grandi di questo paese era la carenza di fondi per la creazione di imprese innovative, e per l’investimento in ricerca e sviluppo. Le banche non erano molto propense a finanziare nuove imprese o nuovi prodotti, e non vi sono abbastanza venture capitalist e angel investor pronti a finanziare il lancio delle start up innovative nate in Italia. Per sopperire a queste carenze, molti innovatori del belpaese avevano imparato ad appoggiarsi a piattaforme di crowdfunding: queste piattaforme permettono di raccogliere finanziamenti per un prodotto nuovo. Gli investitori essenzialmente pagano per il prodotto mesi prima che sia disponibile, e così facendo ne finanziano la produzione.
Al problema della carenza di finanziamenti (funding), la pandemia ne ha aggiunto un altro – forse più grave: la carenza di liquidità. Il fondatore della Scuola di Direzione Aziendale dell’Università Bocconi (SDA Bocconi), Claudio Demattè – sosteneva con parole di rara efficacia che in Italia spesso abbiamo imprenditori ricchi e imprese povere, poco patrimonializzate. E la crisi pandemica ha solo messo a nudo questa grave fragilità di numerose PMI italiane.
L’attuale crisi di liquidità è di natura diversa da quanto abbiamo osservato nelle crisi della storia recente: qui stiamo parlando di imprese già avviate, con un prodotto/servizio di successo, che da un giorno all’altro non vendono più. Teoricamente con la fase 2 i ricavi potrebbero salire di nuovo a livelli pre-crisi, ma sappiamo che il tutto avverrà con gradualità. Da una parte c’è l’effetto della crisi: in molti hanno perso il lavoro e semplicemente hanno meno reddito disponibile da spendere. Ma non dimentichiamo che la maggior parte della popolazione negli ultimi mesi ha continuato a lavorare (o perché impegnata in lavori necessari, o semplicemente lavorando da casa), o ha comunque ottenuto sussidi. E, in un periodo in cui ogni attività non necessaria era vietata, e gli acquisti ridotti, questo si è tradotto in un aumento considerevole del risparmio per quella parte della popolazione che non è stata affetta in modo negativo dalla crisi (vedasi aumento notevole delle giacenze nei depositi bancari). Queste persone potrebbero facilmente “far girare l’economia”, ma non dimentichiamo che la paura del coronavirus è ancora molto presente, e ci vorranno mesi perché tutti possano tornare ad una vita normale.
Quindi, ci troviamo in una crisi di liquidità, dove la liquidità esiste ma è ferma nelle tasche degli italiani che aspettano tempi più sicuri per ritornare ad una vita normale. Certo, gli aiuti pubblici possono aiutare le imprese, ma sappiamo che non possono essere la soluzione a tutti i nostri problemi. Quello che è necessario, oggi, è far muovere quella liquidità che – in tempi normali – sarebbe finita nel circuito economico.
Gli italiani sono bravissimi a lamentarsi ma c’è anche qualcuno che pensa a possibili soluzioni. È di recente costituzione un’impresa, LiUU – alias Lift US Up – fondata da Isabella Sorace, bergamasca tosta – che ha ideato il concetto e sviluppato poi la prima piattaforma di crowdliquidity al mondo. Il crowdfunding è un processo collaborativo di un gruppo di persone che utilizza il proprio denaro in comune per sostenere gli sforzi di persone e organizzazioni. È una pratica di microfinanziamento dal basso che mobilita persone e risorse. Farsi finanziare da sconosciuti sul web è diventato normale. La crowdliquidity non era ancora stata inventata.
LiUU è una start-up con un obiettivo ambizioso: assicurarsi che quante più PMI (in Italia e nel mondo) riescano a sopravvivere alla crisi. La crowdliquidity è una piattaforma dove le piccole imprese, soprattutto quelle a stampo locale, possono rivolgersi ai propri clienti per raccogliere liquidità. L’idea è semplice: la PMI offre un prodotto/servizio che verrà consegnato in una data futura (quando il covid sarà, si spera, solo un brutto ricordo), il cliente offre invece liquidità immediata alla PMI. Le aziende raccolgono così la liquidità necessaria a non chiudere, ed i clienti ottengono un prodotto/servizio di cui potranno usufruire in sicurezza a crisi finita – un win-win per tutti.
In questi giorni LiUU ha lanciato la prima campagna di crowdliquidity: la scommessa è che le persone che in questi mesi hanno visto i propri risparmi crescere, abbiano il desiderio di aiutare le PMI – linfa vitale del tessuto economico italiano. E chissà che, grazie alla crowdliquidity, l’Italia possa uscire dalla crisi senza portare il debito pubblico a livelli insostenibili.
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