Una riflessione scritta dal Presidente Beniamino A. Piccone per la Gazzetta del Mezzogiorno.
Un recente sondaggio di SWG ha rilevato che per gran parte degli italiani non c’è differenza tra il governo Conte II e il governo Draghi. Questa assoluta incongruenza rivela come gli italiani non abbiano ancora preso contezza del cambio di passo, di stile, preparazione, piano di azione tra le due compagini governative. Mentre Conte tergiversava, Draghi non nasconde mai le sue opinioni – vedasi l’uscita su Erdogan “dittatore” -, parla con franchezza – “Non tutti gli italiani furono brava gente”, tiene alto l’onore dell’Italia protestando sui ritardi nelle consegne alle case farmaceutiche, e imponendosi con fermezza nei confronti della Commissione Europea guidata da Ursula Von der Leyen.
Alla Camera nel presentare il Recovery Plan, Draghi ha ribadito due punti importanti: 1) Non possiamo farci sfuggire questa occasione storica, “qui c’è in gioco l’Italia e sono certo che riusciremo a far prevalere l’onestà e l’intelligenza agli interessi di parte”; 2) le riforme sono la conditio sine qua non per incassare i finanziamenti europei.
Non tutti l’hanno capito ma il Piano Nazionale di ripresa e resilienza (PNNR, di ben 191,5 miliardi di euro) è un vero e proprio contratto con l’Europa. Da una parte i singoli Paesi, compresa l’Italia devono superare le rigidità, rompere i “vincoli gullivereschi” (Raffaele Mattioli, cit.) dati dal mal funzionamento della giustizia, della Pubblica Amministrazione, della scarsità di infrastrutture digitali, dall’altra l’Europa ci fornisce le risorse finanziarie (in parte a titolo di finanziamento a costi irrisori, in parte a fondo perduto). Sia ben chiaro, senza riforme, i soldi non arriveranno. E’ tempo che gli italiani adempiano alle promesse scritte nel Piano.
A tal fine Draghi ha fin d’ora stabilito cosa dovrà fare anche il prossimo governo, infatti gli impegni si allungano fino al 2026. Visto che sarà determinante la capacità di execution, meglio fissare i paletti oggi. Ci troviamo nella stessa situazione di trent’anni fa quando in Europa interrogavano il ministro del Tesoro Carlo Azeglio Ciampi per capire cosa sarebbe successo dopo di lui. Draghi ha la massima fiducia del mondo intero. Le incertezze riguardano il futuro, quando non sarà più nella stanza dei bottoni. Con Matteo Salvini premier, per dire, come andranno le cose?
“L’Italia deve combinare immaginazione e concretezza per consegnare alle prossime generazioni un paese più moderno all’interno di una Unione Europea più forte e inclusiva”; così si è espresso Draghi, riprendendo un suo intervento a Pisa di qualche anno fa quando ricordò le considerazioni dello storico Carlo M. Cipolla: “Il potere e il conservatorismo caratteristici delle corporazioni in Italia bloccarono (dal 1600 al 1820, ndr) i necessari mutamenti tecnologici e di qualità che avrebbero potuto permettere alle aziende italiane di competere con la concorrenza straniera”.
La buona notizia è che il Sud assorbirà il 40% delle risorse. E queste dovranno essere dedicate a rendere più robusta l’economia del Mezzogiorno, capace quindi di assorbire le energie (oggi sprecate) di giovani e donne, la cui partecipazione al mercato del lavoro è intollerabile. E’ bene che la classe dirigente del Mezzogiorno guardi ai suoi “maggiori”, che devono costituire un riferimento morale e materiale. Conterà il metodo e la capacità di non disperdere le risorse con logiche feudali. Draghi invita a non guardare solo tabelle e grafici: “Non è dunque solo una questione di reddito, lavoro, benessere. Ma anche di valori civili, di sentimenti della nostra comunità nazionale che nessun numero, nessuna tabella potranno mai rappresentare.” E’ il momento quindi di aprire il volume Laterza della Collana Storica della Banca d’Italia dedicato a Donato Menichella, originario di Biccari (Foggia) e non dimenticato Governatore della Banca d’Italia dal 1948 al 1960, gli anni della ripresa del Dopoguerra e del “miracolo economico”: occorrono “mani sapienti e coscienze rette. Sta in noi”.
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