E’ stata una sorpresa per me e i per i soci dell’Associazione per il Progresso Economico sapere che l’Avvocato Renato Palmieri ci ha lasciato, a pochi mesi dalla morte dell’amata moglie Nella.
Nei suoi interventi alle cene conviviali dell’APE l’avvocato Renato Palmieri mostrava tutta la sua cultura, la vastità dei suoi orizzonti culturali, l’eleganza del suo eloquio. Come si legge in un necrologio sul Corriere della Sera “Etica come necessità, professione come sacerdozio, amicizia come fratellanza”.
Il past president dell’APE, Avv. Pippo Amoroso, ricorda come Renato fosse un professore di diritto penale commerciale con i fiocchi (Ordinario all’Università di Bologna), un penalista capace e notevolmente affermato. Ci ricordiamo bene come si fece sentire durante il processo Parmalat e in tante altre situazioni .
Ogni volta che Renato prendeva la parola, i soci APE sapevano molto bene di stare per ascoltare un parere non banale, non conformista e denso di storia. Ecco l’approccio storico me lo fa faceva sentire vicino. L’Avvocato Alessandro De Nicola giustamente lo ha paragonato – a margine del funerale – a un “uomo del Rinascimento” che si interessava ai problemi del mondo.
In Chiesa ai funerali di sabato scorso il celebrante ha ricordato la laicità, la grande umanità e i fertili colloqui con l’avv. Palmieri. Io posso dire lo stesso. Una volta, a seguito di un suo illuminante intervento all’APE, gli venni incontro per confrontarmi con lui. Dopo diversi botta e risposta mi invitò nel suo studio in via Mascheroni, dove per alcune ore ci confrontammo su alcuni passaggi importanti della storia italiana.
Quando uscì il mio volume “Anni del disincanto” (Aragno, 2014) sul carteggio tra il governatore Paolo Baffi e il giurista Arturo Carlo Jemolo mi invitò per un aperitivo da Biffi in piazzale Baracca per portarmi i suoi ricordi sui terribili anni Settanta. Una sua fissa era la colpa di Milano nel disinteressarsi delle vicende politiche. Aver pensato solo agli affari, secondo lui, è stato ben poco lungimirante. Come Jemolo, pensava che aver portato da Firenze a Roma la capitale d’Italia sia stato un errore imperdonabile.
Quando il killer Joseph Arico – su mandato del bancarottiere mafioso Michele Sindona, artefice del fallimento della Banca Privata Italiana – assassinò l’avvocato Giorgio Ambrosoli davanti a casa sua in via Morozzo della Rocca la sera dell’11 luglio 1979, il governatore Paolo Baffi mandò un funzionario della Banca d’Italia a casa Ambrosoli per valutare la situazione economica della famiglia. Una volta appurato che l’avv. Ambrosoli fosse l’unico percettore di reddito della famiglia, convocò il Consiglio superiore (26 luglio 2979) per approvare un vitalizio alla signora Annalori e ai figli (Francesca, Filippo e Umberto) fino al compimento degli studi. Il 17 luglio Giorgio Bocca in un memorabile pezzo su Repubblica dal titolo “Due cadaveri molto ingombranti” rimarcò come Ambrosoli e Varisco non si lasciassero intimidire dai cialtroni e dai mafiosi, servendo in questo modo il Paese.
Baffi a stretto giro di posta – 23 luglio 1979 – scrisse a Bocca grato e presentando “i più fervidi auguri per le battaglie che Ella conduce al fine di avvicinare l’Italia al modello di una civile convivenza”.
Ecco, Renato Palmieri, in tempi fortunatamente meno tetri, ambiva a costruire un “modello di civile convivenza” , dove vincessero le idee, il senso storico e la forza della cultura.
Ti sia lieve la terra, caro Renato.
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