Dopo l’uscita delle bozze del Next Generation EU (ha ragione il Paglia, non chiamiamolo “Recovery”), vi mando una mia riflessione basata sul concetto che più che domanda pubblica, abbiamo bisogno di buone regole.
Dopo tanto penare, finalmente sono state rese pubbliche le bozze del Next Generation EU, chiamato da tutti Recovery plan. Interesse per le prossime generazioni? Pochino. Da come sembra disegnato, di “recupero” o di “ripresa” se ne vedrà ben poca perché, come spesso avviene in Italia, si punta tutto sulla domanda e poco sulle politiche di offerta. Come se per generare una solida ripresa economica bastasse gettare denaro dagli elicotteri, o elargire ristori ai commercianti, o, ancora, vedere la Banca Centrale Europea acquistare miliardi di titoli di Stato.
Non è così. L’Italia ha bisogno di regole migliori, semplici, trasparenza e non opacità nei provvedimenti. Giustizia funzionante e celere – una sentenza dopo 15 anni non è mai giustizia. Contano le teste pensanti all’interno dei ministeri, i “mandarini” preparati, mentre spesso la burocrazia, come scriveva nel secolo scorso il giurista e storico liberale Arturo Carlo Jemolo in “Anni di prova” si rivela “pigra e parassitaria”.
Veniamo ai punti del Recovery plan. Partiamo dalle note positive: il capitolo Sanità raddoppia e passa da 9 a 20 miliardi di euro. La salute deve essere considerata una priorità. Ma soprattutto i denari dovrebbero andare dove i livelli di assistenza sono inadeguati o, alcune volte, intollerabili per un Paese civile. La differenza la fa la classe dirigente delle singole regioni.
Interessante sarà valutare l’impiego delle risorse nelle politiche per il lavoro (ben 12 miliardi). Nel passato si è sempre privilegiato dare sussidi incondizionati. Non va bene. I lavoratori che hanno perso l’impiego vanno stimolati ed incentivati a trovarne un altro. I centri per l’impiego così come sono disegnati non funzionano. Non parliamo dei cosiddetti “navigator”, mandati allo sbaraglio dopo aver superato un test a crocette.
Non ha alcun senso concedere la cassa integrazione (Cig) quando le imprese hanno cessato la loro attività. Vanno presi in carico i disoccupati, profilati, formati (nel Piano si parla di “Industry Academy”, giusto per non farci mancare un po’ di inglese, che fa figo) in modo adeguato e sostenuti nel collocamento. Se il lavoratore entra in Cig significa che viene congelato, non può lavorare e quindi perde competenze nel tempo. E’ un danno anche per il lavoratore, che viene illuso e ingannato. Le politiche attive per il lavoro saranno sempre più decisive in un modo in cambiamento vorticoso. Non esistono più gli impieghi a vita.
Grazie al ministro Giuseppe Provenzano sono saltati fuori per il Sud 4 miliardi sotto la voce “interventi speciali di coesione territoriale”. Qualsiasi risorsa, per definizione scarsa, va spesa bene, con oculatezza, con lo sguardo lungo, con l’idea che i giovani sono il futuro.
Una notazione finale: le risorse che l’Europa ci presta o ci concede non sono garantite nel senso che il Next Generation EU è una colossale linea di credito (Facility), che erogherà ad avanzamento lavori, verificando che si raggiungano gli obiettivi prefissati. In caso contrario, i denari non arriveranno. Il nostro Paolo Gentiloni, che ha scritto di suo pugno il Piano Europeo, conoscendo bene gli italiani, ha inserito nel Piano gli incentivi corretti. Come diceva Carlo M. Cipolla, furbizia e intelligenza non sono la stessa cosa.
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