Un articolo scritto dal Presidente Beniamino Andrea Piccone per la rivista online della prestigiosa TRECCANI.
Recensione a Lo scenario economico dopo il Covid-19. Un piano strategico per ripartire, a cura di P. Boccardelli, D. Iacovone (Bologna: il Mulino, 2020).
- Economia e innovazione
Nel bel mezzo della più grave epidemia del secolo, è quanto mai interessante leggere il volume Lo scenario economico dopo il Covid-19. Un piano strategico per ripartire, a cura di Paolo Boccarelli e Donato Iacovone (il Mulino, 2020). A maggior ragione a poche settimane dalle prime anticipazioni sulla scoperta di diversi vaccini prodotti da alcune case farmaceutiche.
La crisi economica indotta dalla pandemia e dalle necessarie misure anti-contagio non ha precedenti, neanche nelle più drammatiche crisi del passato. La costante che emerge ovunque è l’enorme crescita del debito pubblico che andrà ripagato nel futuro dalle future generazioni. Purtroppo in Italia non vale la massima di Margaret Thatcher – “Non esiste denaro pubblico, esistono risorse dei contribuenti” (affermazione espressa in occasione del Congresso del Partito Conservatore britannico nel 1983) – poiché ben il 43% degli italiani dichiara un reddito lordo inferiore ai 15mila euro e quindi non è soggetto all’imposta sul reddito (IRPEF). Quando avvengono crisi così dure, i Paesi più colpiti sono quelli che si trovano in condizioni di fragilità, che non hanno affrontato per tempo i problemi di struttura, che fanno molta fatica a procedere in percorsi di riforma. L’Italia è un caso classico, con una crescita economica anemica, che è la caratteristica degli ultimi venti anni. Il governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco con lucidità nelle Considerazioni finali sul 2012 scriveva: «[In Italia] non siamo stati capaci di rispondere agli straordinari cambiamenti geopolitici, tecnologici e demografici degli ultimi venticinque anni. L’aggiustamento richiesto e così a lungo rinviato ha una portata storica; ha implicazioni per le modalità di accumulazione del capitale materiale e immateriale, la specializzazione e l’organizzazione produttiva, il sistema di istruzione, le competenze, i percorsi occupazionali, le caratteristiche del modello di welfare e la distribuzione dei redditi, le rendite incompatibili con il nuovo contesto competitivo, il funzionamento dell’amministrazione pubblica. È un aggiustamento che necessita del contributo decisivo della politica, ma è essenziale la risposta della società e di tutte le forze produttive.»
In tempi più favorevoli la politica tutta, la classe dirigente – deludente assai – non ha voluto affrontare le “piaghe bibliche” – burocrazia parassitaria, spesa corrente sempre in crescita, investimenti che languono, perimetro pubblico esorbitante, evasione fiscale, concorrenza tabù storico, nessuna certezza del diritto – che bloccano la crescita economica. La maggioranza dei cittadini ama lo status quo, non desidera assolutamente cambiare e la politica la asseconda. Rendite sì, concorrenza no, cedolare secca favorevole sugli affitti, tassazione alta sul lavoro. Giovani sfavoriti, pensionati a retributivo – sussidiati al di là del reddito – osannati.
Ha perfettamente ragione Andrea Montanino nella prefazione: “C’è una sola via d’uscita alla sostenibilità delle economie: generare più crescita, per riportare il debito su un sentiero discendente”. Ne deriva che dobbiamo agire al più presto per favorire la crescita dimensionale delle imprese, l’internazionalizzazione, la crescita della produttività (soprattutto delle piccole imprese e del settore pubblico).
Di fronte ai numerosi provvedimenti di sostegno alle imprese, i curatori del volume sottolineano la necessità di intervenire sulla patrimonializzazione delle imprese (più equity e meno debito, in sintesi), che hanno vissuto per troppo tempo sul supporto degli istituti di credito, talvolta eccessivamente bonari nel concedere credito. Più che restrizioni nell’accesso al credito, in Italia bisognerebbe affrontare il tema dell’eccesso di finanziamenti bancari, di overfinancing. Come soleva dire Claudio Dematté, fondatore della Sda Bocconi, abbiamo imprenditori ricchi e imprese povere. Senza contare che, in assenza di mercati finanziari funzionanti, tutto il peso del finanziamento del sistema delle imprese ricade sulle banche.
La domanda che è giusto porsi, citando Ferri e Iacovone (pp. 190-200 del volume), è quanto le imprese saranno in grado di “ridefinire strutturalmente i modelli di business e le competenze” necessarie a un ambiente competitivo che non sarà più come prima del Covid-19. Davanti a cambiamenti radicali e irreversibili, riuscirà il “Made in Italy” a battere la feroce concorrenza mondiale? I manager delle imprese sono all’altezza del ruolo? Gli imprenditori sono disposti a cedere lo scettro ad un management non familiare?
A questo proposito vi è da sottolineare come il peso della spesa pubblica per la sicurezza sociale gravi fortemente sulla fiscalità generale e quindi sulle imprese. Se nel 1950 era pari in Europa al 10% del Pil, ora siamo nell’intorno del 28%. Come sosteneva l’integerrimo e rigoroso governatore Paolo Baffi (2017), forse, infatuati da J.M. Keynes e dalla sua Teoria Generale, abbiamo esagerato.
Nel suo contributo Carlo Chiattelli (pp. 244-252) evidenzia la necessità di “scelte strutturali in grado di superare gli squilibri storici del nostro sistema di welfare e le mancanze del sistema delle politiche attive del lavoro”. È quanto mai necessario “investire in conoscenza” (Visco 2014), pensare a un modello di vita caratterizzato da una formazione continua – life long learning – che faciliti percorsi di up-skilling e re-skilling, prendendo in considerazione come la rivoluzione digitale porti alla polarizzazione tra lavori knowledge-based e non knowledge-based. È noto come siano i lavoratori con redditi più bassi a subire di gran lunga il maggior rischio di disoccupazione.
Nella parte finale del volume, Scialpi, D’Acunto e Daviddi (pp. 236-244) affrontano il tema delle infrastrutture, sottolineando come le risorse vadano utilizzate in maniera efficiente. Invece di parlare di ponti, viadotti inutili o Alta Velocità dove non serve (dove sono finite le analisi costi-benefici?), bisognerebbe dotare il Paese di infrastrutture digitali (Infratech). Il DESI (Digital Economy and Society Index, che misura all’interno della UE il livello di digitalizzazione) ci vede al 25° posto (su 28). Manca una chiara roadmap digitale, bassa è la penetrazione broadband, scarsa la penetrazione dei servizi eGovernment.
Spingere il digitale nelle infrastrutture apporterebbe significativi vantaggi al sistema Paese. Se usassimo, per esempio i Transport/Mobility Data, saremmo in grado di gestire meglio il traffico, diminuendo al contempo l’inquinamento atmosferico. Nel settore delle telecomunicazioni, una dotazione di banda larga per la totalità della popolazione vorrebbe dire maggiore funzionalità di rete (Fuggetta 2020) e riduzione del digital divide.
Nella parte finale del volume si affronta il tema della competitività del Sistema Italia (indice del World Economic Forum). Non si è sorpresi nel leggere che fare impresa in Italia sia letteralmente un’impresa. Serve quindi una maggiore consapevolezza per far comprendere alla classe governativa come senza riforme strutturali nel mercato del lavoro, nella Pubblica amministrazione, nel sistema tributario, il Belpaese continuerà il suo declino, iniziato peraltro ben prima dell’introduzione della moneta unica.
In sintesi, il volume Lo scenario economico dopo il Covid-19. Un piano strategico per ripartire è apprezzabile per la validità delle numerose proposte di policy (in particolare il punto della patrimonializzazione delle imprese) e per la chiarezza espositiva (leggibile anche per i non specialisti). Come diceva il compianto Paolo Sylos Labini (2001), occorre stabilire una corretta gerarchia nell’ordine delle priorità, affinché il Paese possa superare le ataviche arretratezze di fondo.
Bibliografia
AA.VV. (2020), Lo scenario economico dopo il Covid-19. Un piano strategico per ripartire. A cura di: P. Boccardelli, D. Iacovone. Bologna: il Mulino.
Baffi P. (2017), Via Nazionale e gli economisti stranieri, 1944-1953. A cura di: B.A. Piccone. Torino: Aragno.
Fuggetta A. (2020), Il Paese innovatore. Milano: Egea.
Sylos Labini P. (2001), Un Paese a civiltà limitata. Intervista su etica, politica ed economia, Laterza: Bari-Roma.
Visco I. (2014), Investire in conoscenza. Bologna: il Mulino.
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