Un articolo scritto dal Presidente Beniamino A. Piccone per la Gazzetta del Mezzogiorno.
Da Conte a Draghi, un grande vantaggio per il Belpaese
Mario Draghi, romano, 73 anni, una carriera ai massimi livelli nel settore pubblico – direttore generale del Tesoro con Ciampi, governatore della Banca d’Italia, presidente della Banca centrale europea – e nel privato – banchiere a Goldman Sachs – è la persona giusta al posto giusto. Di fronte ad un Paese spaventato e ad un’Europa preoccupata per come avremmo speso le risorse del Next Generation EU, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha incaricato uno dei suoi uomini migliori. La politica è stata commissariata. Dalla faciloneria e da ministri spesso imbarazzanti, passiamo a una persona che fa della serietà e della competenza la propria cifra.
Mario Draghi dopo aver salvato l’euro nel luglio 2012 – con il famoso discorso di Londra, dove emanò il suo monito composto di parole sferzanti e credibili (il noto “Whatever it takes” entrato nei dizionari) – sarà ora alle prese con la fiducia, poiché ciò che conta è invertire subito le aspettative negative dei consumatori, che vive di meccanismi precauzionali – vedasi l’esplosione dei depositi bancari.
Ora il compito principale che ha davanti a sé l’ex presidente della Banca centrale europea è quello di disegnare un “Recovery Plan” denso di riforme strutturali, quegli interventi che ha delineato nel passato.
L’Italia è un Paese di picchi e abissi. Se l’ex presidente del Consiglio Giuseppe Conte si vantò di non aver mai aperto un libro di matematica, abbiamo finalmente un premier che conosce perfettamente i meccanismi dell’economia. E sa dove mettere le mani nel meccano mal funzionante che è la nostra struttura economica, caratterizzata da pubblica amministrazione inefficiente, giustizia a-economica (“espressione di sovranità e garanzia dei diritti, dunque è una funzione senza costo e senza tempo, in cui ogni singolo processo ha un valore assoluto“, S. Rossi, Controtempo, Laterza, cit.), nanismo delle imprese e insufficiente concorrenza.
Per comprendere cosa farà Draghi – allievo di Federico Caffè – andiamo a rileggerci alcuni passaggi. Nel marzo 2014 in qualità di presidente della Bce scrisse parole validissime anche oggi: “La crisi non è finita. Per aver successo, la strategia per la ripresa deve essere portata avanti con determinazione e perseveranza”. Draghi non sceglie le parole a caso. Salvatore Natoli nel suo Perseveranza (il Mulino) ha evidenziato come che per “far sì che la speranza da generico sentimento si trasformi in effettiva possibilità bisogna coltivarla nel presente, farla germogliare nel qui e ora, in mezzo ai disagi e alle difficoltà. Essere perseveranti significa proprio questo: se, infatti, sperare è un sentire, perseverare è un agire e come tale è una virtù”.
Se non si mette ordine nei gangli vitali dell’offerta di servizi pubblici, siamo fritti. E Draghi lo sa bene. Il funzionamento della giustizia è intollerabile; rappresenta una delle cause primarie della ritrosia degli investitori internazionali a venire nel nostro Paese. Nelle sue ultime Considerazioni finali, scrisse: “Va affrontato alla radice il problema di efficienza della giustizia civile: la durata stimata dei processi ordinari in primo grado supera i 1.000 giorni e colloca l’Italia al 157esimo posto su 183 paesi nelle graduatorie stilate dalla Banca Mondiale; l’incertezza che ne deriva è un fattore potente di attrito nel funzionamento dell’economia, oltre che di ingiustizia. Nostre stime indicano che la perdita annua di prodotto attribuibile ai difetti della nostra giustizia civile potrebbe giungere a un punto percentuale”.
L’Italia ha una demografia sfavorevole, non facciamo più figli, gli over-60 rappresentano la classe agiata e comandano. I giovani contano ben poco. Draghi sa benissimo che il futuro è in mano a loro, per cui bisogna investire nell’istruzione. Le scuole devono essere la priorità del Paese, non dovrebbero mai chiudere, bensì rimanere aperte fino a sera. Al Meeting di Rimini dell’agosto scorso disse: “Ai giovani bisogna però dare di più: i sussidi finiranno e resterà la mancanza di una qualificazione professionale, che potrà sacrificare la loro libertà di scelta e il loro reddito futuri”.
SuperMario, come lo chiamano i giornali anglosassoni, è ben consapevole che una politica economica basata sulla domanda e sul deficit ha corto respiro. Contano anche le politiche di offerta, urge favorire la concorrenza. La Banca d’Italia in diverse occasioni ha evidenziato l’urgenza di interventi strutturali volti a rafforzare la capacità di crescita dell’economia, potenziando il capitale fisico e umano del nostro Paese e accrescendo la concorrenza nei settori e attività in cui essa è insufficiente, segnatamente nel caso dei servizi pubblici locali. Draghi anni fa evidenziò come “la crescita di lungo periodo si sostiene con un elevato tasso di innovazione, che si alimenta e si realizza mediante un meccanismo di selezione e di “distruzione creatrice” delle iniziative imprenditoriali. L’ingresso di imprese portatrici di nuove idee, prodotti, tecniche di produzione o modelli organizzativi spinge fuori dal mercato quelle incapaci di rinnovarsi e tenere il passo. La chiave del processo economico è perciò garantire che gli innovatori possano svolgere il loro ruolo e che non siano esclusi dal sistema produttivo”.
Oltre alle parole, contano i comportamenti, il rigore nell’azione. Quando Draghi venne nominato governatore della Banca d’Italia – dopo il pessimo finale di Antonio Fazio, coinvolto in rapporti poco raccomandabili con numerosi soggetti vigilati, alla prima occasione di viaggio, decise di prendere un volo low-cost, senza alcun portaborse ad alleviare il peso dei documenti che portava con sé. Il messaggio da passare ai media era chiarissimo. Le cose sono cambiate. In Banca d’Italia si torna all’esempio morigerato di Paolo Baffi, a comportamenti caratterizzati da sobrietà.
Chiudiamo con una battuta. E’ come se avessimo esonerato l’allenatore del Bari Vivarini (non ce ne voglia) per prendere Guardiola. C’è da festeggiare, cari lettori.
In alto i cuori e i calici.
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