26-7-23
Una riflessione scritta dal Presidente Beniamino A. Piccone per Milano Finanza.
Il tasso variabile espone le famiglie al rischio dei tassi di interesse che può far moltiplicare la rata del mutuo. Il tasso fisso quindi dovrebbe essere obbligatorio. I benefici sono sia per i consumatori che per le banche. Estendere la durata? Occhio agli interessi che vanno pagati | Conti di deposito, la remunerazione dei migliori arriva al 6% | Il decennio perduto della Cina per gli investitori è già avvenuto
Non c’è ragione perché un individuo o una famiglia contragga un mutuo a tasso variabile esponendosi al rischio di variazione del tasso di interesse. È preoccupante ciò che sta succedendo in Inghilterra: 7,8 milioni di famiglie in difficoltà a pagare le rate del mutuo.
La scelta dovrebbe essere obbligata: esclusivamente tasso fisso. Senza temere di bloccare il tasso per tutta la durata del mutuo a un livello che a posteriori potrebbe rivelarsi alto. Infatti in Italia esiste l’istituto della surroga (introdotta meritoriamente nel 2007 dall’allora ministro dell’Industria Pier Luigi Bersani) che permette a un mutuatario di aggiornare le condizioni del mutuo ogni volta che si presenta l’occasione per migliorarle. Mentre nel caso in cui i tassi dovessero salire, si è coperti dalla garanzia del tasso fisso.
Il termometro dei tassi variabili: l’Euribor
Si consideri che il parametro che le banche utilizzano per indicizzare i mutui a tasso variabile è l’Euribor (a breve sarà sostituito dall’€STR, il nuovo risk-free rate per l’area dell’euro introdotto su pressione della Bce, visto che l’Euribor ha subito diversi tentativi di manipolazione). Invece il tasso fisso dei mutui è calcolato in base a un parametro (Irs-Interest Rate Swap, più uno spread) che può essere visto come una sorta di media dei tassi variabili attesi (Euribor). Pertanto a parità di tutte le altre condizioni, la rata che si ottiene optando per il fisso sarà approssimativamente a metà tra la rata più alta e la più bassa che ci si attende di avere optando per il tasso variabile. Una famiglia che non può sostenere il pagamento della rata a tasso fisso molto probabilmente non potrà permettersi metà delle rate di un ammortamento a tasso variabile.
La scommessa contro il mercato
Optare per il tasso variabile, oltre a esporre il mutuatario a variazioni insostenibili dell’importo della rata, ha un significato ben preciso: vuol dire scommettere contro il mercato. Cioè assumere che il mercato abbia prezzato in modo sbagliato il tasso fisso. Si sceglie il variabile perché ci si attende un costo medio più basso trascurando al contempo il valore dell’assicurazione rappresentata dal fisso.
Un individuo che pensa questo è definito nella teoria economica «non razionale». A meno che non operi professionalmente e si crei aspettative che lo portino ad assumersi il rischio contro il mercato. Ma un mutuatario-famiglia è per definizione operatore non professionale.
Fortunatamente milioni di famiglie italiane – due terzi dei mutui in essere (fonte Abi) – hanno sottoscritto un mutuo a tasso fisso con e in questo momento di tassi alti (relativamente al passato prossimo) stanno godendo di tale scelta. In ogni caso il vantaggio è reciproco visto che le banche si trovano tra gli impieghi crediti in bonis che certamente hanno coperto dal rischio di tasso operando sul mercato a termine dei tassi di interesse.
In questo momento storico, con i tassi a breve in rialzo, sarebbe opportuno che le famiglie mutuatarie che hanno un mutuo a tasso variabile provvedano a surrogarlo con un’offerta a tasso fisso. A maggior ragione considerando che la curva dei tassi è decrescente soprattutto per le durate da 15 anni in poi (oggi tutti gli Irs al di sotto del 3,20%), tipiche dei mutui ipotecari, e il tasso fisso finito – comprensivo di spread – può essere più basso del variabile (oggi l’Euribor 6M poco sopra 3,90%).
Si allunga il periodo di rimborso ma occhio agli interessi
Per evitare i rincari dei mutui a tasso variabile il leader della Lega Matteo Salvini – che ha impropriamente criticato («qualche genio in Europa») l’operato della Bce – ha proposto un provvedimento che permetta ai mutuatari di mantenere la rata fissa e allungare la scadenza del mutuo. Esistono già sul mercato offerte di mutui a tasso variabile con rata fissa e durata variabile. Ovvero se aumenta il tasso di riferimento, la rata rimane immutata ma aumenta la durata.
Il ministro dell’economia Giancarlo Giorgetti sulla stessa scia ha dichiarato che è «urgente e indispensabile che si giunga a un accordo (in sede Abi, ndr) per rendere operativo l’allungamento così da limitare l’impatto a volte insostenibile dell’aumento delle rate».
È indubbio che dover pagare un importo mensile costante può essere un vantaggio. Ma l’apparenza inganna. Infatti, facendo i conti della casalinga di Voghera, allungare la durata implica aumentare notevolmente il monte interessi da pagare (ovvero la spesa complessiva da sostenere). Inoltre si riduce il capitale rimborsato in ogni rata (la singola rata è composta da capitale e interessi).
Nel periodo immediatamente precedente l’inizio dei rialzi dei tassi era normale contrarre un mutuo a tasso variabile (con il parametro Euribor negativo) che prevedeva un Tan-Tasso Annuo Nominale «finito» pari all’1%. Se qualcuno avesse contratto un mutuo da 100 mila euro per 20 anni con Tan iniziale variabile dell’1%, avrebbe una rata di circa 460 euro. Applicando un Tan pari al 2% per mantenere la rata costante la durata diventa 22,5 anni. Applicando un Tan del 5% (come è ora) la durata diventa quasi 50 anni e il monte interessi è oltre 1,6 volte il capitale!
Allarme Codacons: no costi aggiuntivi per i cittadini
Il Codacons chiede che la manovra non comporti costi aggiuntivi per i cittadini. E qui bisogna intendersi. Perché se si allunga la durata del mutuo il maggiore aggravio è certo. A meno che si pensi di indennizzare – sarebbe un provvedimento senza senso – coloro che hanno scelto il tasso variabile. In questo caso il costo ricadrebbe sui contribuenti, per lo più inconsapevoli. Come diceva saggiamente Margaret Thatcher, «non esistono soldi pubblici, esistono i soldi dei contribuenti».
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