5-8-22
Un articolo scritto dal Presidente Beniamino A Piccone per MF Milano Finanza, dopo l’azione restrittiva di politica della Banca centrale americana, le borse hanno reagito positivamente.
E’ noto che le banche centrali governano la parte breve della curva dei tassi di interesse. In presenza di una forte crescita economica abbinata all’aumento dei prezzi, la Federal Reserve americana ha iniziato nel marzo 2022 (Federal Funds da 0-0,25% a 0,25-0,50%) a stringere i cordoni della borsa, aumentando i tassi di interesse. In una prima fase, i mercati hanno pensato che la Fed fosse “behind the curve”, ossia fosse in grande ritardo, che l’inflazione fosse andata fuori controllo. In Europa la banca centrale europea, attraverso i suoi massimi esponenti, parlò di “inflazione transitoria”. Solo nei mesi successivi cambiò espressione, spiegando che i colli di bottiglia delle catene del valore creava pressioni strutturali sull’offerta di beni e servizi.
Il presidente della Federal Reserve tra il 1951 e il 1970 fu William McChesney Martin: governò la politica monetaria con ben cinque presidenti degli Stati Uniti. Una sua nota affermazione recita così: “the job of central bankers is to take away the punch bowl just as the party gets going”, ossia “le banche centrali devono portare via i bicchieri di champagne una volta che la festa ha preso piede”. L’attuale chairman della Fed, Jerome Powell, ha superato la timidezza dei primi rialzi (in maggio e giugno ulteriori rialzi da 0,50% ciascuno), alzando i tassi a luglio di 0,75% (da 1,50-2% a 2,25-2,50%). In occasione dell’ultimo rialzo Powell ha sottolineato che la Fed non si sarebbe fermata. L’obiettivo era ed è il controllo dell’inflazione. Per arrivare a centrare l’obiettivo, è inevitabile un rallentamento dell’economia e un raffreddamento del mercato del lavoro, che negli States è particolarmente surriscaldato (tasso di disoccupazione ai minimi storici, sceso dal 3,9% al 3,6%): da inizio anno l’economia americana è stata in grado di creare ben 2,7 milioni di posti di lavoro.
Una banca centrale svolge bene il suo compito se riesce ad ancorare le aspettative di inflazione. Il primo dato da osservare per valutare quindi l’operato in questi mesi della Fed è guardare a i tassi a lungo termine, il cui picco è stato segnato a inizio giugno a 3,50%. Da quel momento i tassi a lunga sono scesi fino al 2,67% di oggi, scendendo sotto i tassi a 2 anni (2,88%). E sono proprio i tassi a lunga quelli decisivi per gli investimenti, degli imprenditori e delle famiglie che intendono indebitarsi per comprare un immobile.
La ripresa dei mercati azionari delle ultime settimane è in gran parte spiegabile con questo forte ribasso dei tassi a lunga. Nei modelli di valutazione delle aziende attraverso il cash-flow, si scontano gli utili futuri al tasso di mercato (a cui si aggiunge il premio al rischio). Sono quindi le società tecnologiche – presenti nel Nasdaq – i cui profitti sono spesso in là nel tempo, ad aver beneficiato in maggior misura di questo calo dei tassi a lunga. Quando il terminal value (il valore terminale di un titolo è il valore attuale in un momento futuro di tutti i flussi di cassa futuri quando ci aspettiamo un tasso di crescita stabile per sempre, ndr) costituisce una buona parte del valore di un’azienda, una minima variazione del tasso a cui si scontano gli utili futuri genera un grosso scostamento nella valutazione.
L’indice della Borsa Americana – Standard & Poor’s 500 – è passato da 3.636 del 17 giugno ai livelli di oggi nell’intorno di 4.100 (+12,7%). L’indice Dax della Borsa di Francoforte è passato da 12.390 del 5 luglio a 13.500 di oggi (+8,90%). Anche la Borsa italiana ha reagito in positivo. Dai minimi del 14 luglio il FTSE MIB a 20.420, siamo giunti oggi in area 22.600, con un rimbalzo del 10,6%.
Tocchiamo quindi con mano quando sia importante la credibilità delle banche centrali. Negli Stati Uniti un ruolo decisivo è stato giocato da Paul Volcker, governatore della Federal Reserve (dal 1979 al 1987) con l’amministrazione Carter e poi Reagan, che rialzò i tassi di interesse fino al 21% così da stroncare il fenomeno inflattivo (che aveva superato il 13%).
Grazie a questi personaggi di spessore, oggi la credibilità delle banche centrali è alta. I cittadini credono che l’inflazione a doppia cifra non tornerà più. E se dovesse lambire quei livelli, coloro che sono tenuti a controllare i prezzi siano così arcigni e tenaci da sradicare il fenomeno.
In Europa l’economia è molto più debole che negli States, l’inflazione è creata in forte misura dell’aumento dei prezzi delle materie prime. Non sarà facile per Christine Lagarde e il Governing Council della BCE ancorare le aspettative d’inflazione, ma siamo ragionevolmente certi che una politica dei piccoli passi – “al buio ci si nuove lentamente” – e una politica monetaria sempre accomodante sia la cosa migliore per non bloccare sul nascere il ciclo economico.
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