23-4-23
Una riflessione scritta dal Presidente Beniamino Piccone per MF
Le motivazioni della sentenza di condanna da parte della Corte d’Assise – di ben 1742 pagine – dei mandanti della Strage di Bologna del 2 agosto 1980 (85 morti e 216 feriti, il più grave attentato mai compiuto in Italia) pubblicate alcuni giorni fa – rappresentano una fonte fondamentale per capire la storia d’Italia. Densa di misteri e di fatti non ancora chiariti. Tra questi spicca l’attacco politico-giudiziario alla Banca d’Italia sferrato nel marzo 1979, ma iniziato nel 1978, quando era all’opera – ma non si sapeva la Loggia massonica “P2”, “Propaganda 2” (liste scoperte nel marzo 1981), guidata da Licio Gelli. Attacco che porto al disarcionamento dei “duo inafferrabile”, di Paolo Baffi – governatore – e Mario Sarcinelli, vicedirettore generale con delega alla Vigilanza.
Per la strage di Bologna nella sentenza di condanna all’ergastolo in primo grado di Mario Bellini – ex terrorista di Avanguardia Nazionale – quale quinto uomo (insieme a Cavallini, Fioravanti, Mambro e Ciavardini) del gruppo degli esecutori materiali della strage, emerge più volte la figura di Mario Tedeschi, definito dai giudici di Bologna “organizzatore per aver coadiuvato Federico Umberto D’Amato (direttore dell’Ufficio Affari Riservati del Ministero dell’Interno) nella gestione mediatica dell’evento strage, preparatoria e successiva dello stesso, nonché dell’attività di depistaggio delle indagini”. Successivamente i giudici scrivono: “Le linee che emergono dagli articoli di Tedeschi anticipano, ancora prima dell’inizio della stagione delle stragi, il pericolo di terrorismo, imputandolo ai comunisti, finalizzato secondo la logica della guerra rivoluzionaria che si afferma essere perseguita, a diffondere sfiducia nel potere legale”.
Si scoprirà successivamente che Tedeschi, piduista, direttore de “Il Borghese” (settimanale vicino al Movimento Sociale Italiano e alla corrente andreottiana della Democrazia Cristiana) era a libro paga di Licio Gelli, e il cui disegno eversivo emerge chiaramente nelle pagine della sentenza. La stessa eversione predisposta dalla P2 per attaccare la Banca d’Italia, che non si faceva intimorire di fronte alle enormi irregolarità presenti nella Banca Privata di Michele Sindona e nel Banco Ambrosiano guidato da Roberto Calvi, che morirà assassinato – probabilmente da Cosa Nostra) il 17 giugno 1982 sotto il ponte dei Frati Neri a Londra.
Dalla lettura delle carte di Bologna emerge quindi che negli Anni Settanta la P2 non solo “destabilizzava per stabilizzare”, ma puntava ad “eliminare” tutti coloro che si opponeva ai loro disegni criminosi. Nella sentenza di condanna di Sindona quale mandante dell’omicidio di Ambrosoli si legge che “Sarcinelli era “obiettivamente di ostacolo agli interessi di Sindona, ma anche agli interessi di Calvi e – ciò che conta maggiormente – in generale agli interessi finanziari facenti capo a quello che possiamo definire come il sistema di potere P2”.
Nel luglio 1986 il faccendiere Francesco Pazienza, coinvolto nel caso Ambrosiano, dichiarerà alla magistratura che l’incriminazione di Baffi e Sarcinelli era stata decisa in un vertice a Montecarlo, nell’ambito della Loggia P2, su indicazione di Roberto Calvi, presidente allora del Banco Ambrosiano e del braccio destro di Licio Gelli, Umberto Ortolani: la stessa P2 che svolse un ruolo particolarmente attivo nel sostenere il piano di salvataggio delle banche di Sindona e nel tentare di evitare la sua estradizione”.
A 44 anni dagli eventi possiamo sostenere che il 24 marzo 1979 sia un giorno nero per la storia italiana e che la Loggia P2 di Licio Gelli ha grosse responsabilità. Paolo Baffi, governatore e Sarcinelli vicedirettore generale con delega alla Vigilanza, in modo pretestuoso e grottesco, vengono accusati dalla Procura di Roma di interesse privato in atti d’ufficio e favoreggiamento personale per non aver trasmesso all’autorità giudiziaria le notizie contenute in un rapporto ispettivo del Credito Industriale Sardo, istituto di credito che aveva largamente finanziato il gruppo chimico SIR del finanziere Nino Rovelli, oggetto di indagine da parte della magistratura.
Uno dei due giudici istruttori della Procura di Roma intenti ad accusare Baffi e Sarcinelli era Antonio Alibrandi, vicino al Msi (al termine della carriera si candidò per poi entrare nel Consiglio comunale di Roma), il quale, in una memorabile intervista al Messaggero il 21 aprile 1979 disse: “Come giudice non posso non rilevare la mancanza di obiettività da parte della Banca d’Italia. C’è da augurarsi che Sarcinelli impari la lezione, se un giorno o l’altro riprenderà il suo posto”.
Sempre a Roma i quegli anni a presiedere una sezione della Corte di Cassazione sedeva Carmelo Spagnuolo, – anche lui piduista, tessera n. 545 – che scrisse un affidavit a favore del banchiere-bancarottiere Sindona. Se oggi i valorosi giudici della Corte d’Assise di Bologna stendono una sentenza decisiva per capire i drammi vissuti dall’Italia negli anni Settanta, come scrisse il giudice Adolfo Beria d’Argentine nel maggio 1983, il caso Baffi-Sarcinelli è un esempio tristemente noto di un’azione giudiziaria irresponsabile che, oltre a provocare danni gravissimi a persone oneste e a un’istituzione tra le più stimate, segnò un momento di decadimento per l’intera magistratura.
Fortunatamente in Banca d’Italia a Paolo Baffi – maestro trasversale (Luigi Spaventa, cit.) – succedette Carlo Azeglio Ciampi, che si oppose fermamente ai disegni criminosi della P2, opponendosi al salvataggio “papocchio” della Bana Privata di Sindona e conducendo il Banco Ambrosiano dal fallimento alla rinascita, con l’ausilio di Beniamino Andreatta – serio Ministro del Tesoro – e Giovanni Bazoli, giurista tramutatosi in eccellente banchiere.
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