21-10-23
Un articolo del Presidente Beniamino A. Piccone, pubblicato su Milano Finanza
Enrico Cuccia volle che le assemblee di Mediobanca si tenessero sempre il 28 ottobre, in contrapposizione al ricordo della Marcia dei fascisti su Roma. Quella del fondatore era una banca-stanza di compensazione dei poteri italiani e protettrice delle grandi famiglie imprenditoriali. Che ora invece cingono d’assedio il fortino di Piazzetta Cuccia guidato da Alberto Nagel, a sua volta sostenuto dai fondi internazionali | VIDEO | EssilorLuxottica, faro francese sui litigi in Delfin. Frattura quasi insanabile fra gli eredi. Il ruolo di Claudio Del Vecchio
Nel 1946 su ispirazione di Alberto Beneduce – grande uomo di Stato, concreto e pragmatico – nasce Mediobanca, «ente specializzato per i cosiddetti finanziamenti a medio termine» controllato dall’Istituto per la Ricostruzione Industriale (Iri) tramite le tre banche di interesse nazionale (Bin): Credito Italiano, Banca Commerciale Italiana e Banco di Roma. La banca d’affari viene affidata a Enrico Cuccia, già distintosi all’Iri e assai stimato da Beneduce, che diventò oltretutto suo suocero, visto che Cuccia ne sposò la figlia Idea Nuova Socialista.
Enrico Cuccia, fiero antifascista, era anche ben consapevole di quanto fosse corrotto il regime fascista. Infatti nel 1936, inviato ad Addis Abeba in Africa Orientale Italiana in veste di delegato del sottosegretariato per gli scambi e le valute, riferì del traffico illecito della valuta locale ad opera del maresciallo Rodolfo Graziani, viceré d’Etiopia. Indi per cui Cuccia volle che l’assemblea di Mediobanca si tenesse sempre il 28 ottobre, giorno della Marcia su Roma (1922). In tal modo il banchiere siciliano scelse che la banca avrebbe sempre lavorato nel giorno nefasto che segnò l’inizio dell’era fascista e che il regime aveva fatto diventare festa nazionale.
Che cos’era la Mediobanca di Enrico Cuccia
La Mediobanca di Cuccia ha rappresentato per anni la stanza di compensazione del fragile capitalismo italiano, incapace a livello di grande impresa di trovare una propria via di sviluppo. «Ho dovuto fare le nozze con i fichi secchi», disse Cuccia e Napoleone Colajanni. Cuccia, «un siciliano a Milano», «siciliano delle montagne, di sangue freddo» – come lo definí Guido Carli -, è stato un indubbio protagonista della finanza italiana e ha inciso profondamente sulla storia del nostro capitalismo. Aggiungeva Ugo La Malfa, che con lui si oppose fermamente ai luciferini propositi di Michele Sindona: «In economia non si può fare nulla se lui non è d’accordo».
Imprenditori protetti dalle banche e il «quarto capitalismo»
La protezione alle grandi imprese è stata fin troppo accudente. Il risultato non è stato adeguato: la parte alta dell’impresa italiana è scomparsa. In questo contesto l’economia italiana ha visto la crescita del «quarto capitalismo», imprese competitive sui mercati internazionali, capaci di combinare al meglio i fattori di produzione per ricavare margini elevati sul fatturato. In tal modo le esigenze di finanziamento sono limitate al capitale circolante netto, mentre gli investimenti vengono realizzati con il capitale proprio, indice di sostenibilità finanziaria. Lo storico Franco Amatori concluse che Cuccia non rallentò né accelerò la china negativa: «La accompagnò fra burberi rimproveri e un malcelato senso di superiorità, che senza dubbio non favorì il suo ruolo di leader del nucleo forte del capitalismo italiano».
«Le azioni si pesano, non si contano». Ora è il contrario
Orbene, tutti si ricordano della massima di Cuccia per cui «le azioni si pesano e non si contano», come se nelle assemblee degli azionisti contasse il prestigio e il peso dei patti parasociali. A pochi giorni dall’assemblea di Mediobanca, ora gli eredi di Cuccia, ossia Alberto Nagel e Renato Pagliaro, sono costretti a inusuali campagne pubblicitarie sui giornali pur di convincere gli azionisti della bontà del loro disegno strategico futuro.
Assistiamo quindi per la prima volta a un vero e proprio scontro di due compagini: da una parte il management di Mediobanca appoggiato del patto di consultazione (tra gli altri Mediolanum, Gavio, Ferrero), dall’altra Delfin – che raccoglie gli eredi di Leonardo Del Vecchio guidati dal manager Francesco Milleri – e il romano Francesco Gaetano Caltagirone, che l’anno scorso si mise a capo di un progetto (non riuscito) per prendere il controllo delle Generali sottraendolo a Mediobanca. Delfin chiede profondi cambiamenti nella governance e un presidente di garanzia, indipendente. Anche Romano Minozzi, imprenditore azionista con l’1%, ha fatto sentire la sua voce di rinnovamento sostenendo che «i banchieri non devono chiudersi in una casta» e che Delfin può portare «visione imprenditoriale, un’aria fresca».
Lista del cda contro lista dei soci
Insomma, una sorta di marcia su Milano nel giorno della Marcia su Roma. Sulla carta la battaglia è aperta: i due fronti raccolgono circa il 30% dei voti ciascuno. L’affluenza sarà alta, nell’intorno del 75%. Saranno decisivi gli investitori istituzionali che faranno valere i propri voti. Se la lista di Delfin – appoggiata anche da Caltagirone e Minozzi – dovesse ottenere la maggioranza dei voti in assemblea, il nuovo consiglio di Mediobanca – 8 consiglieri alla lista del cda, 5 alla lista Delfin, 2 agli investitori istituzionali – rischierebbe lo stallo su alcune delibere a maggioranza qualificata mettendo in allerta la Vigilanza della Banca Centrale Europea.
Il destino di Mediobanca. E di Generali
È chiaro che Delfin e Caltagirone mirano a condizionare la gestione di Mediobanca, che oggi vive dell’attività di m&a, di gestione del risparmio con Che Banca! e di credito al consumo con Compass. Il vero obiettivo è però il controllo delle Generali – la più grande compagnia di assicurazioni italiana, fondata il 26 dicembre del 1831 – oggi controllate dalla banca con solo il 13,1% di azioni. Un controllo così risicato implica l’impossibilità di aumentare il capitale sociale, pena la perdita del premio di maggioranza. Ma in tal modo al Leone di Trieste è impedita la crescita per via esterna, necessaria per stare al passo con i competitor Allianz e Axa.
Il nodo degli stipendi dei manager
Tra le delibere da approvare all’assemblea del 28 vi è quella relativa alla politica di remunerazione. Cuccia, onesto e probo, era l’emblema della sobrietà dei comportamenti. Riservatezza massima e studio: questi erano i suoi valori. In un’unica cosa largheggiava: nell’acquisto di libri, di cui era vorace lettore. Tra le altre cose Cuccia si batté affinché le stock option – strumento talvolta diabolico per arricchire i manager – non trovassero terreno fertile.
Mentre oggi i banchieri vengono foraggiati con stipendi eccessivi, Cuccia morì lasciando agli eredi sul conto corrente 300 milioni di lire, al conio di oggi circa 155.000 euro, lo stipendio di trenta giorni dell’amministratore delegato attuale di Mediobanca, che con i bonus ha raggiunto in 12 mesi un emolumento lordo di 5,8 milioni.
Milano Finanza – Numero 207 pag. 20 del 21/10/2023
Lascia un commento