25-9-23
Un articolo del Presidente Beniamino A. Piccone, scritto e pubblicato sul suo blog, a seguito della scomparsa del Presidente Giorgio Napolitano.
La morte di Giorgio Napolitano a 98 anni – nato a Napoli il 29 giugno 1925 – lascia un vuoto enorme in un Italia inebetita dai politicanti di oggi, che ogni giorno ci sorprendono con delle proposte dove mancano completamente i contenuti.
“Il mio comunista preferito”, lo ha definito Henry Kissinger. “Molto più rosa che rosso”, dissero al Congresso americano quando gli diedero finalmente il visto nel 1980, quando scoprirono la forza delle idee del politico italiano.
Iscritto al PCI fin dal 1944 – dopo aver conosciuto Giorgio Amendola, “energia allo stato puro”- non fu mai segretario del partito. Troppo moderno in un partito con lo sguardo rivolto all’indietro. Michele Serra scrisse su Tango, l’inserto satirico dell’Unità: “E’ gradito agli intellettuali moderati, alla Nato, a Veca, al Psi, agli imprenditori liberal, a Scalfari: se piacesse anche ai comunisti sarebbe segretario da un pezzo”.
Giuliano Amato, in occasione del suo ultimo compleanno, ha scritto: “Napolitano era stato fra i non pochi giovani italiani entrati durante la guerra nel partito comunista, non perchè attratto da Lenin o dall’Unione Sovietica, ma perchè il partito gli parve l’organizzazione più adeguata per combattere il fascismo. Non a caso molti anni più tardi avrebbe preso sempre più consistenza in lui, e grazie a lui, la prospettiva di un innesto dello stesso partito comunista nel grande filone del socialismo europeo. Fu una prospettiva per affermare la quale il “migliorista” Napolitano subì diverse sconfitte, e tuttavia fu lui a renderla concreta promuovendo l’ingresso di Altiero Spinelli (colui che con Altiero Spinelli ed Eugenio Colorni scrisse nel 1943-4 – esilio fascista a Ventotene il “Manifesto per un’Europa libera e unita”) nel primo Parlamento europeo eletto dai cittadini, come indipendente nella lista del PCI. Il patrimonio culturale del riformismo veniva così legato all’ideale europeo”.
E’ stato un onore per me conoscere Giorgio Napolitano, il quale, dopo aver letto il mio primo volume su Paolo Baffi – Parola di Governatore (Aragno, 2013) – volle conoscermi, raccontandomi il suo rapporto con il governatore. con il quale – da responsabile economico del Partito Comunista Italiano negli anni Settanta – ha avuto modo di confrontarsi. A fronte della mia passione, mi diede in visione il suo carteggio col governatore, con queste parole: “Ho gelosamente conservato le lettere e i tanti biglietti inviatimi negli anni da Baffi e mi fa piacere che questo materiale possa essere proficuamente utilizzato per meglio far conoscere la sua figura e il ruolo da lui svolto in un momento difficile della nostra vita pubblica.
Napolitano volle sapere come giunsi all'”ossessione per Baffi”, a questi studi “matti e disperatissimi. Una volta, il 26 ottobre 1996, mi scrisse: “Grazie per la felice pervicacia con cui lei continua a reagire nei fatti alla incredibile – proprio incredibile – non conoscenza o sottovalutazione di scelte e contributi di Baffi “nell’interesse pubblico”.
Quando lo conobbi, capii immediatamente la profonda cultura che lo pervadeva. Non è un caso che i discorsi parlamentari – ai quali dedicava giorni e giorni di studio nella sua biblioteca – sono un esempio di chiarezza e di saggezza.
Fui anche colpito dal suo amore per Thomas Mann (che contraddistinse anche mio padre, infatti mi chiamo Beniamino perchè al tempo mio padre era preso dalla lettura di “Giuseppe e i suoi fratelli“). Nell’introduzione al volume di Thomas Mann “Moniti all’Europa” (Mondadori, 2017), Napolitano ricorda alcuni passaggi chiave degli scritti di Mann negli anni del nazismo: “Non si è tedeschi se si è nazionalisti. Ma l’odio tedesco non si rivolge, dal punto di vista spirituale, contro gli ebrei stessi, o non a loro soltanto: si rivolge contro l’Europa e contro le fondamenta classiche e cristiane della civiltà occidentale”. E ancora; “La profonda convinzione…che nulla di buono può derivare, nè per la Germania nè per il mondo, dall’attuale regime tedesco, questa convinzione mi ha spinto a evitare il Paese nella cui tradizione spirituale sono …profondamente radicato”.
L’impatto è fortissimo – scrive Napolitano – la reazione del regime è drastica. Al più grande scrittore di lingua tedesca viene strappata la cittadinanza tedesca, e addirittura cancellata la laurea ad honorem conferitagli dall’Università di Bonn….Arriva il sequestro, che lo turba profondamente, nell’abitazione di Monaco, dei materiali preparatori del romanzo su Giuseppe e perfino dei suoi “diari segreti”….La lezione di Mann resta incancellabile. Un’Europa che non è diventata tedesca, che si è unita, progredendo straordinariamente, nella libertà e nella democrazia, e che mostra di tendere a una sempre più stretta integrazione sovranazionale (quella che propugna Mario Draghi nel suo ultimo intervento sull’Economist,ndr): un’Europa così fatta può contare su un’autentica Germania europea. Ed è una Germania che dell’Europa è divenuta un pilastro essenziale, attraverso una vera e propria mutazione generazionale e culturale di massa rispetto alle aberrazioni del passato”.
Napolitano chiude così: “Ebbene, non è forse questo il compiersi della profezia annunciata da Mann, il realizzarsi della soluzione e prospettiva – una Germania europea – che ha rappresentato la bandiera, da lui per primo impugnata, in anni di tragico buio per l’umanità?”.
Questo era Giorgio Napolitano, un formidabile combinato disposto di politica e cultura. Un gigante. “Ci vogliono decenni per farne un altro così”, mi ha scritto la scienziata e senatrice a vita Elena Cattaneo, il cui racconto del giorno della nomina fatta all’Associazione per il Progresso Economico mi ha commosso.
In occasione della presentazione di un altro mio volume – “Paolo Baffi, servitore dell’interesse pubblico“, non solo ha letto attentamente il volume, ma nel suo intervento chiarì il perchè della stima verso Baffi: «Credo si possa dire che il punto di vista di Baffi fosse rappresentativo di una consistente area di opinione, sempre più acutamente consapevole della necessità di un effettivo superamento di quella condizione di democrazia bloccata che ha prodotto guasti così profondi, che ha condotto sull’orlo di un allarmante immiserimento e di una grave degenerazione del sistema politico e della gestione dello Stato, che ha “quasi ghettizzato tante energie intellettuali e morali”.
In un suo intervento del 2013 presso l’Università Bocconi, in occasione del ricordo di Luigi Spaventa, Napolitano disse riprendendo Franco Debenedetti: “Spaventa contribuì come nessun altro a liberare la sinistra italiana”, suggerendole strumenti concettuali più avanzati per l’analisi e il governo delle economie di mercato”.
Napolitano, politico di razza, è andato a ritrovare un intervento del 1993 di Paul Volcker, governatore della Federal Reserve dal 1979 al 1987, in cui – nel centenario della nascita della Banca d’Italia – rimarcò quanto fosse importante avere una banca centrale indipendente dal potere politico e al contempo disposta a rendicontare il proprio operato all’opinione pubblica. E’ lo stesso pensiero di Baffi, propugnatore della “battaglia della persuasione” con tutti gli stakeholder coinvolti.
In un momento storico dove le banche centrali sono messe all’indice dai politici a causa dell’inversione della politica monetaria – da accomodante a restrittiva – il modello di indipendenza delle banche centrali deve essere quanto mai mantenuto; altrimenti il rischio è tornare ai tempi dell’inflazione a doppia cifra.
Napolitano si concentrò sulla storia del PCI, che spesso, preda dell’ideologia, perse di vista la logica economica. Nel mio volume si legge: “Con continui e indifferenziati «no» alle proposte di modernizzazione il PCI faceva toccare con mano la propria inadeguatezza a padroneggiare i problemi concreti con soluzioni idonee a un paese industriale. Baffi auspicava l’uscita dal ghetto dell’intellighenzia di sinistra, danneggiata dalla democrazia bloccata, frutto del «bipartitismo imperfetto», spiegato analiticamente da Giorgio Galli.
Al termine del suo intervento, il presidente Napolitano si commosse nel considerare Baffi una delle persone per il quale ha avuto il maggior rispetto nella sua vita. Come all’università Bocconi nel settembre 2013 quando Napolitano ricordò Luigi Spaventa, economista di rango con il quale lo stesso Baffi intrattenne un carteggio che magari un giorno meriterebbe la pubblicazione integrale: “Quanto più tu abbia la ventura di inoltrarti, in età avanzata, nel tuo percorso di vita, tanto più avverti il vuoto di quelle che sono state presenze assai care, venute meno via via nel corso degli anni : e finisci per avere quasi il senso del dissolversi del tuo mondo come sfera di affetti radicati e di comunanze essenziali. E quel che allora può soccorrerti è il ricordo che ridiventa vita come qui oggi, è il sentire vicine figure, storie, pensieri che ancora possono accompagnarti. Per me la figura, come poche altre, di Luigi Spaventa”.
I giornali internazionali questa mattina hanno voluto ricordare il capolavoro politico compiuto da Presidente della Repubblica nel 2011 quando l’Italia governata da Silvio Berlusconi rischiò di fallire con lo spread BTP-Bund andato alle stelle. La nomina nell’estate dell’economista Mario Monti e il successivo incarico a novembre – successivo alle dimissioni di Berlusconi – rappresentano uno dei tanti successi di Giorgio Napolitano. Sono in molti a pensare che allora Napolitano salvò l’Italia dal default.
E’ giusto ricordare che Napolitano, nel trentennale dell’uccisione di Aldo Moro, volle istituire la Giornata delle vittime del terrorismo. Si era esagerato nel parlare dei terroristi, era ora di dare spazio alle voci delle vittime. L’abbraccio tra Gemma Capra – vedova del commissario Calabresi – e Lucia Rognini – vedova di Pinelli, l’anarchico morto in Questura dopo la bomba di Piazza Fontana – fu commovente e significativo di un Paese che deve riappacificarsi dopo i tremendi anni di piombo e dell’eversione nera.
Chiudo con le parole di Antonio Funiciello, già capo di Gabinetto dei governi guidati da Paolo Gentiloni e Mario Draghi: “Difficile spiegare cosa sia stato per tanti di noi Giorgio Napolitano. Difficile spiegarlo oggi che quel noi non esiste più. Un dolore la sua morte”.
Un forte abbraccio a Clio Napolitano, donna simpaticissima.
La terra ti sia lieve, caro Napolitano.
http://fausteilgovernatore.blogspot.com/2023/09/omaggio-giorgio-napolitano-gigante.html?m=1
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