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“The young Pope”, di Giuseppe Amoroso

Vado al cinema da più di sessantanni.
Film e musica costituiscono, a mio avviso, alcune delle forme più elevate di soddisfacimento dello spirito.
Le prime due puntate dell’ultimo lavoro di Sorrentino, fortemente pubblicizzate e promosse, meritano grande attenzione.
Poiché un film deve essere valutato prima di tutto con gli occhi (Hitchcock insegna), vanno applaudite le performances del direttore della fotografia (Luca Bigazzi è oggi tra i migliori al mondo) e della responsabile del casting (Anna Maria Sambuco); tra i personaggi “minori” risaltano infatti in modo particolare, nelle parti di tre cardinali, Javier Càmara, James Cromwell e Toni Bertorelli.
Le perplessità riguardano invece il punto principale dell’opera, la figura del protagonista e, più in generale, il soggetto e la sceneggiatura.
Mano a mano che la vicenda prende corpo, si ha la netta sensazione che Sorrentino abbia voluto “forzare la mano, strafare”.
Il papa è generalmente visto come un anziano? Lui lo fa giovane.
Di solito è brutto? Lui ce lo presenta molto bello (e, caso mai non ce ne fossimo accorti, ce lo fa dire da un personaggio laico femminile (Cècile de France).
Lo stereotipo lo raffigura come estremamente sobrio? Lui lo fa fumare e bere coca cola di prima mattina.
Il papa-tipo è molto pio? Lui gli fa violare il segreto della confessione e dichiarare che non si sente colpevole di peccato alcuno.
Ne dovrebbe risultare un personaggio estremo, agli antipodi, per ciò stesso intrigante, foriero di sviluppi molto originali.
Finora non è così.
Più che fiction, il film è finto.
Questo giovane papa è in – credibile.
Ogni spettatore è (deve essere) disposto ad accettare il punto di vista dell’autore, anche molto diverso dal suo, purchè l’”alterità” sia presentata in modo attendibile.
Nelle due puntate ad oggi apparse sul piccolo schermo questo papa è, invece, del tutto fasullo;
non si può francamente credere come abbia fatto a diventare prete, poi cardinale, infine ad essere votato da decine di cardinali.
Non vediamo un “antipapa”, solo un bell’uomo (Jude Law) poco convinto di quello che fa e che dice.
Non cattivo, solo falso.
Né le cose vanno meglio con la figura del deuteragonista.
Il cardinale napoletano impersonato da Silvio Orlando (ma era proprio necessario chiamarlo Voiello come una nota marca di pasta?) non regge il confronto con il ben più inquietante suo corrispettivo reale, il cardinal Bertone; oltretutto, la scena dei tre cellulari con le foto degli attaccanti del Napoli (tra cui Higuain, oggi passato alla Juventus), riducono il personaggio a livello di “macchietta”.
C’è da augurarsi che le prossime puntate inducano a modificare le prime sensazioni.
Per ora, il confronto con “Habemus papam” di Nanni Moretti (autore altrettanto se non più pieno di sé) è impietoso: era molto più attendibile il papa insicuro, dubbioso e alla fine rinunciatario impersonato da Michel Piccoli.

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