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Andrea Illy, imprenditore di talento, un esempio per l’Italia pigra

Il 5 marzo 2019 siamo riusciti a “catturare” Andrea Illy, imprenditore di talento, Cavaliere del Lavoro, per 22 anni amministratore delegato di Illycaffè S.p.A., ora presidente. E’ anche presidente di Altagamma, fondazione che riunisce le imprese più prestigiose dell’industria creativa italiana.
Si definisce “chimico umanista”. Io lo definirei “imprenditore olivettiano, con una grande passione per la conoscenza”. Diplomato ad Harvard, ha una curiosità olistica che spazia in modo ilimitato.

Illy ha intrattenuto la platea parlando del suo libro “Italia felix. Uscire dalla crisi e tornare a sorridere” (Piemme, 2018), frutto di una conversazione con il giornalista Francesco Antonioli.

Gli argomenti del volume sono vari. Si passa dall’etica di impresa alla formazione continua – life long learning -, dalla politica alle politiche economiche, dalla finanza al “food & ben vivere”.

Un libro che merita di essere assaporato e sottolineato. Così da poter tornare in futuro su alcuni concetti importanti.

A me ha colpito la “cassetta degli attrezzi” dell’imprenditore Illy. Se l’Italia non è stata in grado di adeguarsi negli ultimi 25 anni ai grandi cambiamenti portati da tecnologia, globalizzazione e demografia, è anche responsabilità di molti imprenditori, che sono rimasti agli anni Settanta, quando bastava organizzarsi alla bell’e meglio, mettersi in garage e sfondare. Purtroppo abbiamo troppo pochi Andrea Illy. Bisognerebbe clonarlo.

Finiti i tempi d’oro, era necessario evolvere, pensare di internazionalizzarsi (per uscire dalla schiavitù della domanda interna), assumere gente capace, laureata, puntare su competenze forti, investire sui giovani, nell’ICT. Ma serve una testa pensante, pensiero non omologato, amministratori indipendenti (per davvero), corporate governance di livello.

E spesso non si trova.

Illy vorrebbe un’Italia Felix, ma spesso manca la materia prima, il cervello, un approccio culturale diverso.

Per me, laureato nel 1994 in Bocconi con Claudio Dematté, non poteva che farmi piacere il riferimento all’economista trentino. Illy scrive (p. 72): “A mio avviso c’è stata una collusione storica tra sistema economico e sistema politico che ci ha letteralmente tagliato le gambe. In parte il problema è legato al dna delle nostre aziende, quasi tutte di “capitalismo familiare”. C’era quel meccanismo “culturale” che Claudio Dematté, fondatore della Sda Bocconi School of Management e uno dei grandi economisti aziendali italiani del dopoguerra, definiva “impresa povera, famiglia ricca“. L’impresa dichiarava pochi utili per pagare meno tasse e quindi risultata indebitata. Questo modello ha costituito un freno per l’entrata di nuovi soci, per le esportazioni e per l’innovazione. Anche perchè buona parte di quegli imprenditori self-made hanno un titolo di studio basso”.

Illy scrive: “E’ impossibile essere felici in un mondo infelice. Lavorare e impegnarsi per un mondo più felice, pertanto, è un modo per rendere felici anche noi stessi. In buona sostanza: la felicità è il nutrimento per realizzare la nostra più autentica ragione di vita. E’ ciò verso cui dobbiamo tendere, cercando di essere “contagiosi“. Ecco perchè, secondo me, essere felici è un dovere. Perchè soltanto in questa maniera possiamo essere autenticamente uomini e donne”.

Nella dedica, Andrea Illy mi ha scritto: “A Beniamino, con stima. Live happily!”. Con questo pessimismo dilagante, rancore e risentimento pervasivi, cercare di raggiungere la felicità nella vita è un obiettivo a cui tutti noi dobbiamo puntare.

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