Il 28 gennaio 2019 abbiamo avuto l’onore di ospitare la prof.ssa Elsa Fornero, la più grande esperta di previdenza in Italia. Aver avuto Onorato Castellino come Maestro è stato un vantaggio non da poco, ma poi ci ha messo molto del suo.
L’esperienza di un anno nel governo Monti, come ministro del Welfare e del Lavoro è stata una prova tostissima. Ma chi avrebbe avuto la capacità di preparare una riforma delle pensioni in soli 15 giorni, nel dicembre 2011, dopo che lo spread a 550 basis point stava uccidendo il Paese?
L’Italia deve essere grata a Elsa Fornero. L’astio, la rabbia che molti hanno nei suoi confronti (deve girare con la scorta) è senza senso. Frutto di ignoranza crassa. Figurarsi se l’italiano sa la differenza tra sistema contributivo e retributivo. O se è a conoscenza degli sviluppi demografici sfavorevoli.
Nell’epoca dell'”uno vale uno”, la prof.ssa Fornero è un talismano da portare in palmo di mano.
Qui di seguito il botta e risposta della serata.
Non dimenticheremo la pacatezza, l’eleganza con cui la Fornero ha risposto a tutti i quesiti posti.
L’intervento di Elsa Fornero, già ministro del Welfare e del Lavoro nel Governo Monti (novembre 2011 – aprile 2013), all’Associazione per il Progresso Economico appare fuori dal tempo, tenuto con una pacatezza ed una lucidità che nulla hanno in comune con il chiasso e il baccano a cui siamo ormai abituati. In effetti è la stessa figura della professoressa ad appartenere ad un altro tempo e forse, a ben guardare, è proprio questo che ha reso l’ascolto magnetico e le sue parole incisive e profondamente efficaci.
Domanda: «Prof.ssa Fornero, qual’è il principale punto debole del sistema previdenziale italiano?»
Risposta (E. Fornero): «Bisogna partire dall’evoluzione della piramide demografica italiana. Il nostro paese sta conoscendo un invecchiamento sempre più marcato della popolazione, con allarmanti proiezioni nel 2060, le quali sono peraltro piuttosto verosimili, seppur lontane nel tempo. Tale caratteristica della demografia italiana pare non essere stata presa in debita considerazione dal presente governo che, animato da una visione di brevissimo periodo (si ritorna di nuovo alla solita espressione: presentismo), ha sacrificato la tenuta del sistema previdenziale, che tra non molto necessiterà dell’intervento di “un’altra Fornero”».
D: “Perchè le riforme al sistema pensionistico italiano si ripetono nel tempo?”
R.: “Nel secolo scorso si è fatta la scelta sciagurata (Riforma Brodolini del 1969) di passare dal sistema contributivo al retributivo, proprio negli anni in cui iniziava a calare il tasso di natalità. Anche le riforme Dini e Amato sono state troppo graduali. La mia riforma, con spread alle stelle e mercati impazziti (sembrava di stare in trincea), è stata scritta in soli 20 giorni, per cui non ho la pretesa che sia perfetta. Ma la risposta dei mercati all’aumento dell’età pensionabile e al ripristino del metodo contributivo è stata chiara. Il debito pensionistico non è più una minaccia, a meno che arrivi qualcun altro a cambiare le cose. Oltretutto fui contrastata anche dall’allora presidente dell’Inps Antonio Mastrapasqua, che fece di tutto per non darmi i dati corretti degli esodati.
D: “Nel tempo in Italia è cambiata la mobilità sociale, la possibilità di emergere?”
R: “E’ cambiata eccome. Oggi il Paese non è capace di offrire reali opportunità di ascesa sociale: la mancanza di un ascensore sociale vero e proprio rende la vita delle nuove generazioni un percorso spesso deterministico, senza che vi sia, se non raramente, la possibilità per l’individuo di incidere in maniera decisiva sulle proprie prospettive future. Negli Stati Uniti le famiglie, fin dai primi anni della vita del figlio, scelgono (se ne hanno la possibilità) la scuola dell’infanzia per il loro figlio in modo tale da massimizzare la possibilità che in futuro possa entrare in un’università prestigiosa. Sbagliare la scelta o non avere la possibilità di scegliere riduce sensibilmente le possibilità che le porte di Harvard rimangano aperte, indipendentemente da qualsiasi scelta successiva del ragazzo. L’Italia necessita, per garantirsi un futuro, di dare la possibilità a chi eccelle di essere premiato ed essere socialmente riconosciuto per le proprie conquiste, indipendentemente dalle proprie condizioni di partenza.
Il mio caso è emblematico. Io sono nata a San Carlo Canavese, ed abitando dalla parte destra del fiume, feci ragioneria e non il liceo (come mio marito Enrico Deaglio). La famiglia di provenienza non dovrebbe essere un elemento in grado di condizionare il futuro e di determinare il ventaglio di opportunità di un individuo.
Dal canto mio, durante il periodo in cui siamo stati al Governo, ho tentato di creare i presupposti per una maggiore mobilità sociale, cercando di favorire l’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro. Questo però è stato visto come un’eliminazione delle tutele verso chi all’interno del mercato vi era già. Ma ciò è del tutto normale: per permettere a chi sta fuori da una cittadella di entrarvi, bisogna adoperarsi per abbassare le mura, non per alzarle.
D.: “Perchè gli italiani non hanno aderito in massa alla previdenza complementare?”
R.: “Sebbene rappresenti un’opportunità reale, fintanto che le enormi disuguaglianze intergenerazionali rimarranno caratteristica comune del nostro tessuto sociale, i lavoratori in grado di destinare una parte dei propri guadagni ad un fondo pensione saranno una minoranza, mentre la maggior parte dovrà rinunciare all’idea, affidandosi interamente alla previdenza pubblica. Ancora una volta la disuguaglianza genera paradossi: la previdenza complementare, che costituisce una significativa integrazione al reddito, è preclusa a coloro che di tale integrazione avrebbero più bisogno. Di fatto, la previdenza complementare è un lusso. Al di là della carenza di educazione finanziaria di gran parte della popolazione – incapace di apprezzare i vantaggi che tale possibilità offre – molti lavoratori vorrebbero sottoscrivere un fondo pensione per garantirsi una rendita previdenziale un po’ più generosa in futuro, ma non sono in grado di accantonare nulla, in quanto la totalità del loro reddito mensile viene impiegato per il sostentamento immediato proprio e dei familiari.
D: “Il tema delle pensioni è particolarmente scottante per qualsiasi Paese, basti pensare alle proteste che sono scaturite persino in un paese autoritario come la Russia. Si aspettava tuttavia una tale campagna d’odio nei suoi confronti?”
R: “In realtà inizialmente non c’era in me la volontà di accettare l’incarico. Decisivo in questo senso è stato Mario Monti, persona per cui provavo e provo un’inalterata stima. Vero è che, durante questo difficile ed impegnativo percorso, qualche delusione me l’ha provocata, ma penso che lo stesso potrebbe dire lui di me. Per quanto riguarda la campagna d’odio, penso che sia stata una delle facili strategie utilizzate nella dialettica politica di chi ha recentemente preso le redini del Governo del nostro Paese. La ricerca di un responsabile è necessaria per dare ai cittadini un bersaglio contro cui sfogare nella maniera più brutale la propria, spesso comprensibile, frustrazione. Credo che la mia figura sia stata utilizzata proprio con questa funzione: lo capisco, lo accetto a malincuore, ma non ne sono certamente contenta.”
(Si ringrazia Alessandro Sassi per il supporto alla stesura)
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