Lunedì 30 gennaio 2017, Gregorio De Felice, capo economista di Intesa Sanpaolo, ha parlato all’APE sulle prospettive economiche internazionali e italiane.
De Felice ha annunciato un 2017 caratterizzato da rischi politici elevati e da crescita economica moderata. Segue un riassunto di quanto presentato.
A livello globale, la mancanza di visione delle élites politiche impedisce l’attività di coordinazione necessaria a contenere il protezionismo, l’instabilità finanziaria e la disuguaglianza. Di conseguenza, il divario tra le promesse della globalizzazione e la realtà quotidiana dei cittadini aumenta sempre più. I flussi migratori, non essendo accompagnati da adeguate politiche di integrazione, erodono la coesione sociale. Il populismo è in ascesa, e in molti paesi sta portando all’autoritarismo attraverso principi democratici. Le elezioni nei Paesi Bassi (in marzo), in Francia (maggio) e in Germania (settembre) possono mettere a repentaglio il progetto europeo. Il referendum costituzionale in Turchia (aprile), le elezioni in Iran (maggio) e India (luglio) e il 19° Congresso Nazionale della Partito comunista in Cina (ottobre) possono creare instabilità. I fondamentali macro rimangono deboli. L’invecchiamento della popolazione sta riducendo i consumi e aumentando l’accumulazione del risparmio.
Nonostante cio’, nel 2017 il prodotto interno lordo (PIL) globale crescerà del 3,4 per cento, rispetto al 3,1 del 2016. Tuttavia, alti livelli di debito – sia pubblico che privato – limiteranno gli investimenti e la crescita della produttività, riducendo l’attività industriale e commerciale. I rischi più rilevanti vengono da tensioni geopolitiche, volatilità dei mercati e svalutazioni competitive. La disoccupazione manterrà i salari fermi e i redditi reali stagnanti, indebolendo la domanda aggregata. L’inflazione rimarrà contenuta – all’1.9 per cento nei paesi avanzati e al 3.7 per cento nei mercati emergenti.
Nei prossimi 12 mesi, la politica monetaria inizierà a divergere – con un aumenti dei tassi negli Stati Uniti ed espansione monetaria nella zona euro e in Giappone. La politica fiscale, incapace di sostenere consumi e investimenti, diventerà espansiva solo negli Stati Uniti, dove – se Trump rispetta le promesse elettorali – l’economia crescerà sopra tendenza, spingendo i mercati finanziari, soprattutto nella prima parte dell’anno. Ad eccezione degli Stati Uniti, i paesi avanzati, gravati da debiti e rigidità strutturali, cresceranno poco. Nei mercati emergenti, la gracilità della crescita aumenterà i rischi di instabilità politica. Tassi di crescita asimmetrici e politiche monetarie divergenti aumenteranno il rischio di dislocazioni di mercato.
In un contesto di crescente fragilità politica e di bassa crescita, le prospettive dell’Italia rimangono poco brillanti.
Il sistema politico, focalizzato sulla conservazione dei privilegi, genera sentimenti populisti. Strutture di potere costituito ostacolano la meritocrazia e la propensione al rischio. La frattura tra Nord e Sud rimane profonda. Il PIL pro capite è bloccato al livello di fine-1990. La crescita è lenta: negli ultimi due decenni l’innovazione e la competitività sono state al di sotto della media europea e la crescita media annuale del PIL è stata del 0,46 per cento. Tra 2016-21, l’economia crescerà tra il 0,8-1,0 per cento annuo. La disoccupazione è al di sopra dei livelli pre-crisi (quella giovanile è al 40.1 per cento). Mentre la povertà e la disuguaglianza sono in aumento, investire è difficile e poco redditizio. L’86 per cento delle imprese è di proprietà familiare – e il 66 per cento di queste è a conduzione familiare. Le tasse sono alte – l’aliquota d’imposta sul reddito può raggiungere il 43,0 per cento e quella sulle società è del 31,4 per cento – ma il debito pubblico ha raggiunto la cifra di 2.223,8 miliardi di euro. Al 132,7 per cento del PIL è il secondo più alto della zona euro dopo la Grecia (176,9 per cento). Il sistema bancario è in grave difficoltà: se non si trovano 40 miliardi di euro (equivalenti al 2.5 per cento del PIL) per i necessari aumenti di capitale, una crisi si profila all’orizzonte.
Eppure, l’Italia non dovrebbe essere in difficoltà; l’economia è: a) di grandi dimensioni (la terza della zona euro, l’ottava nel mondo); b) relativamente diversificata (l’agricoltura contribuisce 2,2 per cento del PIL, l’industria 23,6 e i servizi 74,2); e c) solida (è il secondo produttore manufatturiero in Europa e il quinto nel mondo, mentre è l’ottavo esportatore mondiale con USD454.6 miliardi venduti all’estero nel 2015). Il risparmio privato è al di sopra della media europea. Il punto fondamentale è individuare e liberare i fattori di crescita. Storicamente, la crescita è stata spinta da fattori esterni (i.e., il “miracolo economico”, dopo la seconda guerra mondiale) o sforzi politici (i.e., svalutazioni competitive fino al 1995 e spesa fiscale tra il 1970 e il 1990). Dopo l’adesione all’euro, le soglie di deficit e debito di Maastricht hanno vincolato la spesa pubblica e – di conseguenza – la crescita è scesa al di sotto della media dell’Unione europea.
Oggi, l’Italia non puo’ e non deve contare su fattori esterni (sarebbe equivalente ad aspettare Godot), ma dovrebbe invece costruire fattori interni di crescita e migliorare la competitività a lungo termine, tramite riforme strutturali di cui l’agenda è nota. Tuttavia, a causa di un elettorato riluttante e un processo legislativo complesso, le riforme sono di difficile implementazione.
Negli ultimi tre anni, il governo di Renzi ha annunciato molte riforme importanti, ma ne ha implementate poche. Anche gli interventi sul mercato del lavoro (Jobs Act) si sono rivelati deludenti: hanno ridotto l’occupazione precaria ma non aumentato l’occupazione giovanile. Secondo Renzi, l’impedimento principale è un inefficace processo legislativo, che deve essere razionalizzato. Secondo i cittadini italiani, no: nel referendum costituzionale del 4 dicembre la proposta di riforma istituzionale è stata respinta da una coalizione eterogenea di forze politiche, tra cui l’82 per cento dei cittadini tra 18 e 24 anni.
In conclusione: l’economia globale è stagnante. Con l’ascesa del populismo molti governi saranno troppo deboli per passare riforme significative, con gravi conseguenze sui fondamentali macroeconomici e sull’andamento dei mercati finanziari. Per evitare che nei prossimi anni l’economia sia esposta a shock avversi, l’Italia ha bisogno di modernizzazione. Un peggioramento della perfomance è un grave pericolo per l’Unione europea e per l’euro. Dopo le dimissioni di Renzi, il governo Gentiloni – per quanto di transizione e con elezioni attese nel 2018 – deve portare a termine il programma di riforme. Il tempo stringe. A inizio febbraio 2017, il differenziale Btp-Bund (spread) ha toccato i 201.1 punti base, il livello massimo degli ultimi tre anni.
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