Una riflessione scritta dal Presidente Beniamino A. Piccone per Momento Finanza sul tema Fintech e l’uso dei dati presi dai nostri cellulari.
Avete mai provato a perdere il cellulare? A vedere lo schermo non accendersi più? Avete presente provare un’angoscia terribile? Non lo auguro al peggior nemico perché ormai dentro il nostro cellulare ci sono informazioni fondamentali: numeri di telefono, fotografie, indirizzi, messaggi, chat, mail di importanza assoluta. Che intendiamo conservare e di cui non possiamo fare a meno.
Vi ricordate “Minority report” di Stephen Spielberg con Tom Cruise? Un film del 2002 che in modo distopico ipotizzava nel 2054 un sistema di prevenzione degli omicidi nella città di Washington grazie a un sistema chiamato Precrimine. Basandosi sulle premonizioni di tre individui dotati di poteri extrasensoriali di precognizione amplificati, detti Precog, la polizia riesce a impedire gli omicidi prima che essi avvengano e ad arrestare i potenziali “colpevoli”. In questo modo non viene punito il fatto (che non avviene), bensì l’intenzione di compierlo.
Oggi invece dei Precog che avevano poteri paranormali, abbiamo i Big Data, che sono archivi di dati non strutturati e di enormi dimensioni, che vengono elaborati attraverso tecniche di analisi basate sull’apprendimento automatico (machine learning).
Il cellulare di ognuno di noi è una vera e propria miniera di informazioni. In Cina gli intermediari finanziari digitali appartenenti alla galassia Fintech – ossia operatori che fanno uso massiccio della tecnologia – effettuano analisi di merito di credito dei clienti sulla base dell’uso del cellulare. Facciamo degli esempi così da farci capire.
Se un soggetto fa scaricare il telefono senza metterlo in carica preventivamente dimostra poca attenzione, per cui accumula un punteggio negativo. Se effettua delle telefonate a cui non viene data risposta significa che viene considerato una persona fastidiosa o poco importante. Se non si viene richiamati, si tratta di un cattivo segnale. Se alle nostre chiamate, viceversa, la risposta è immediata, il punteggio risultante è positivo.
La somma di tutte queste informazioni costituisce il giudizio finale di merito di credito, il rating di una persona fisica, la quale quando chiederà un finanziamento verrà giudicata da un algoritmo di calcolo che misura attentamente tutte queste variabili.
Se in Cina il cliente è sotto stretto controllo tramite il suo cellulare, il Italia le banche languono, non sono in grado di effettuare analisi complete. La banca dove abbiamo il conto corrente, tipicamente, non analizza i nostri consumi, le spese della carta di credito, ma soprattutto non elabora informazioni tratte dal cellulare.
Nel volume “Il capitalismo della sorveglianza” la psicologa sociale Shoshana Zuboff definisce così il nuovo ordine economico che sfrutta l’esperienza umana come materia prima per pratiche commerciali segrete di estrazione, previsione e vendita. Nel capitalo tre, dal titolo “Il surplus comportamentale”, l’autrice cita il capo economista di Google Hal Varian che spiega come “al giorno d’oggi c’è un computer di mezzo in quasi ogni transazione” per poi identificare quattro usi: “l’estrazione e l’analisi dei dati”, le “nuove forme contrattuali dovute a un miglior monitoraggio”, la “personalizzazione e customizzazione” e “gli esperimenti continui”.
Secondo la Zuboff i dati dono la materia prima necessaria per il nuovo processo di fabbricazione del capitalismo della sorveglianza. Siamo costantemente sorvegliati. In Cina ancora di più, considerando che l’abbondante fiducia verso le autorità governative consente un dispotismo illuminato caratterizzato dal diffuso consenso. Negli Stati Uniti i timori di un’eccessiva intrusione nella vita personale non sono così flebili. Per esempio, l’”Equal Credit Opportunities Act” proibisce l’uso di dati che possa ricondurre a variabili come razza, sesso, colore della pelle, paese di origine, religione. Gli intermediari che fanno uso di “digital footprints” devono agire con prudenza per evitare di violare e regole previste da “fair lending acts”. Dati predittivi sì, ma non devono portare a presumere dati personali inviolabili: tutto ciò è cosa buona e giusta.
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