Un articolo scritto dal Presidente Beniamino A. Piccone, pubblicato sulla Gazzetta del Mezzogiorno.
Alla fine di un anno alquanto complicato, mi sono sentito in dovere di esprimere un desiderio di positività.
Ho quindi riflettuto sulla speranza, concentrandomi sul fatto che solo leader credibili (dove sono finiti?) possono infondere concrete speranze di rinascita.
Viviamo tempi quanto mai incerti. Non sappiamo se il giorno dopo potremo circolare, vedere gli amici, uscire di casa.
Mai come ora le persone hanno bisogno di certezze, di punti di riferimento. E più necessitiamo di radici forti, di persone credibili e autorevoli, più sentiamo un forte disagio legato alla mancanza di leader all’altezza della situazione.
Torna in mente il banchiere Raffaele Mattioli, che, una volta esautorato dalla sua Banca Commerciale – Giulio Andreotti nominò alla presidenza nel 1972 il piduista Gaetano Stammati – ebbe l’intenzione di creare una Associazione per lo studio della formazione delle classi dirigenti. Quanto ce ne sarebbe bisogno oggi!
Purtroppo, visto che le classi dirigenti latitano, la popolazione non si fida del potere, considerato in modo negativo. Invece, ci sbagliamo. Il potere, se usato in modo responsabile, è fondamentale.
Il Generale Carlo Alberto dalla Chiesa in uno dei suoi discorsi scrisse: “Se è vero che esiste un potere, questo potere è solo quello dello Stato, delle sue istituzioni e delle sue leggi; non possiamo oltre delegare questo potere né ai prevaricatori, né ai prepotenti, né ai disonesti. Potere può essere un sostantivo nel nostro vocabolario ma è anche un verbo. Ebbene, io l’ho colto e lo voglio sottolineare in tutte le sue espressioni o almeno quelle che così estemporaneamente mi vengono in mente: poter convivere, poter essere sereni, poter guardare in faccia l’interlocutore senza abbassare gli occhi, poter ridere, poter parlare, poter sentire, poter guardare in viso i nostri figli e i figli dei nostri figli senza avere la sensazione di doverci rimproverare qualcosa, poter guardare ai giovani per trasmettere loro una vita fatta di sacrifici, di rinunzie, ma di pulizia, poter sentirci tutti uniti in una convivenza, in una società che è fatta, è fatta di tante belle cose, ma soprattutto del lavoro, del lavoro di tanti”.
Napoleone ha lasciato tra i suoi tanti insegnamenti, un motto significativo: “Un leader è un commerciante di speranza”. Ma per sperare, occorre convincere i cittadini con argomenti seri, con proposte concrete, che mancano completamente. Il governatore della Banca d’Italia nelle sue ultime Considerazioni finali del maggio scorso concluse proprio citando la speranza: “Oggi da più parti si dice: “insieme ce la faremo”. Lo diciamo anche noi: ma purché non sia detto solo con ottimismo retorico, bensì per assumere collettivamente un impegno concreto. Ce la faremo con scelte mature, consapevoli, guardando lontano. Ce la faremo partendo dai punti di forza di cui qualche volta ci scordiamo; affrontando finalmente le debolezze che qualche volta non vogliamo vedere. Molti hanno perso la vita, molti piangono i loro cari, molti temono per il proprio lavoro. Nessuno deve perdere la speranza”.
La speranza si perde quando vediamo che il merito non è riconosciuto, quando le ingiustizie a danno dei ceti più deboli persistono, quando i sussidi vanno a chi sta bene, quando la pioggia di bonus fa perdere la voglia di lavorare, quando i giovani sono costretti ad emigrare, quando i nostri laureati vanno all’estero per dimostrare quanto valgono.
Il potere va usato con lungimiranza e saggezza, pensando ai tempi lunghi, cari a Luigi Einaudi.
L’economista d’impresa Marco Vitale ha evidenziato come il potere sia connaturato all’uomo: “che non esiste attività umana senza potere, e che non esiste potere senza responsabilità; che la scelta è, piuttosto, tra i fini per i quali esercitare il piccolo o grande potere che ci viene assegnato, tra potere responsabile e potere irresponsabile; che non dobbiamo fuggire dal potere, ma anzi addestrarci a gestirlo, nelle grandi e nelle piccole cose, con responsabilità e per finalità positive.
Paolo Baffi, il generale Dalla Chiesa, Giorgio Ambrosoli: questi uomini, semplicemente facendo fino in fondo il loro dovere professionale, esercitavano un potere. Ed è una grande fortuna che, anche nei momenti più neri, vi siano uomini che non fuggono davanti alla necessità di esercitare, con responsabilità e con l’accettazione consapevole dei rischi connessi, il loro potere. La nostra società non è ammalata di troppo potere, ma, caso mai, di troppo poco potere, di potere troppo concentrato, di potere irresponsabile, che non viene chiamato a corrette rese di conto, di potere oscuro. Essa è piuttosto malata di ingiustizia”.
Se “nessuno deve perdere la speranza”, urge che le classi dirigenti imprenditoriali si facciamo sentire, pretendano dal governo atti concreti, non vacue parole. E la stampa, come ci ricorda spesso il direttore Giuseppe De Tomaso, deve fungere da cane da guardia del potere. Senza un’informazione “libera e forte”, un Paese non può crescere.
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