Un articolo del Presidente Beniamino A. Piccone, scritto per la Gazzetta del Mezzogiorno.
Visto che l’economia italiana è ben lungi dal ripartire, il governo, al termine degli Stati Generali, ha promesso ulteriori misure espansive, in particolare la diminuzione dell’Iva. La vice ministra dell’Economia Laura Castelli – famosa per aver contraddetto il precedente ministro Pier Carlo Padoan con un “questo lo dice lei” – ha dichiarato che “far ripartire il paese è l’unica priorità”, aggiungendo in modo veramente geniale che “l’aumento della domanda ha un impatto molto positivo sul pil”.
Si tratterebbe di una misura temporanea – due anni – e volta a favorire i pagamenti con carte di credito. Il mancato gettito potrebbe essere tra i 4 e i 10 miliardi di euro. Probabilmente il governo intende copiare la Germania che ha deciso nei giorni scorsi un taglio delle aliquote (dal 19 al 16%) e dal 7 al 5% per i beni a cui si applica un’aliquota ridotta.
E’ bene ricordare che l’Italia ha le aliquote IVA più basse d’Europa e più volte siamo stati invitati dalla UE ad aumentarle. La rimodulazione era già prevista al rialzo attraverso le clausole di salvaguardia, ma il decretone rilancio ha cassato la cosa. Peraltro in questo momento sarebbe opportuno favorire un po’ di inflazione, in calo significativo. Se le aliquote scendono, scendono anche i prezzi al consumo e c’è il rischio di una deflazione.
Quando si è in presenza di risorse scarse, ossia in assenza di aiuti europei o ulteriori ricorsi al debito, cosa buona e giusta sarebbe quella di dire la verità ai cittadini, così che ci sia l’incentivo a rimboccarsi le maniche e non cercare un supporto esterno. Occorrerebbe rifarsi a Donato Menichella (1896-1984) e al suo, monito “Sta in noi”, ripreso spesso dal governatore di Banca d’Italia Carlo Azeglio Ciampi (1920-2016). La vagonata di supporti europei – dal “Sure” per la disoccupazione, al Mes (prendiamolo di corsa!), ai grants previsti nel Fondo di Ricostruzione “Next Generation UE” – induce evidentemente la compagine di governo a promettere “di tutto, di più”.
I consumi vengono stimolati in modo più corretto attraverso le aspettative, le quali dipendono dall’azione di governo. Se i cittadini intravedono una politica economica dominata da assistenzialismo spinto – dove a qualsiasi categoria viene promesso qualcosa – il risultato finale è la paura a consumare e rinviare gli acquisti, specialmente sui beni durevoli. Non è un caso che in questi ultimi mesi sia aumentato il risparmio precauzionale: i depositi bancari di famiglie e imprese sono cresciuti tra febbraio e aprile di oltre 54 miliardi.
Visto che sono le imprese a creare ricchezza – fortunatamente Vittorio Colao lo ha ricordato nella prima slide del suo piano – le risorse vanno impiegate per migliorare il contesto economico-istituzionale, ossia rendere più facile fare impresa. Le priorità dovrebbero essere queste:
- Far funzionare la giustizia civile. Non è possibile che una causa possa durare 10 anni prima della sentenza definitiva.
- Smettere di legiferare in modo retroattivo, a livello fiscale e tributario. Dove è finita la certezza del diritto?
- Rendere più flessibile il mercato del lavoro, e al contempo far funzionare le politiche attive, delegate all’Anpal, guidata ahinoi da Mimmo Parisi, inventore della figura fantomatica del “Navigator”.
- Cambiare in modo radicale il cosiddetto “decreto Dignità”, che impedisce di fatto i rinnovi dei contratti di lavoro a tempo determinato. Con uno scenario a dir poco incerto, tutti gli imprenditori hanno diritto a non dover applicare clausole irrazionali.
- Dare una data certa in tutta Italia per la riapertura delle scuole. Questo porterebbe chiarezza, per i lavoratori e non. Le persone potrebbero fin d’ora organizzarsi. E in tal modo la popolazione capirebbe che si fa sul serio, tutto a vantaggio di aspettative positive.
Molte riforme da portare avanti possono essere fatte a costo zero. Basta che al cittadino venga detta la verità. Basta promesse e forza con la parresia.
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