Un articolo scritto dal Presidente Beniamino A. Piccone per la Gazzetta del Mezzogiorno.
Gli Stati Generali sono una buffonata.
Le cose da fare le conosciamo benissimo. Ma non si vogliono fare per non scontentare nessuno.
La presentazione del piano per la ripresa da parte di Vittorio Colao ha immediatamente generato le solite gelosie della primazia della politica, “a cui spetta decidere”. Ma ben venga, questa capacità! Purtroppo, invece, siamo davanti al solito teatrino per cui si chiama un manager o un professore, lo si incarica di qualcosa, poi, appena arrivano le proposte, si dice che bisogna valutarle con attenzione e “vedremo cosa fare”. Traduzione: metteremo tutto nei cassetti, rimandando il tutto alle calende greche.
Come ci invitava saggiamente a fare Paolo Sylos Labini (1920-2005), conta definire la corretta gerarchia nell’ordine delle priorità. Quando i commissari alla spending review Carlo Cottarelli e Roberto Perotti, in fasi diverse, hanno proposto un elenco ben preciso di cose da fare per tagliare la spesa pubblica corrente, la politica ha nicchiato costringendo i due bravi economisti a fare le valigie. Con tutti i distinguo sentiti in questi giorni, nonostante la task force di Colao abbia lavorato intensamente con proposte concrete e incisive, l’impressione è che la palla verrà lanciata sugli spalti, per evitare di compiere delle scelte e perdere eventualmente un po’ di consenso. Le cose da fare le conosciamo perfettamente. Tergiversare non serve a nulla.
Il premier Giuseppe Conte, forse consigliato da Mariana Mazzuccato – che si è subito premurata di non firmare la relazione finale – ha invocato gli “Stati Generali” – tutti dentro, imprenditori, sindacalisti, politici, professori, esperti, todos caballeros – a Villa Pamphili a Roma. Si discuterà, si faranno delle gran dirette Facebook, ma poi vincerà il Gattopardo, nulla cambierà. All’Italia è mancata proprio la Rivoluzione francese, i notabili e le corporazioni sono ancora dominanti. La Francia ha avuto De Gaulle, noi Beppe Grillo, diceva con sferzante ironia Eddy Berselli. Urge tornare a leggere Vincenzo Cuoco e il suo “Saggio storico sulla rivoluzione di Napoli” (1799).
Come ha scritto Francesco Giavazzi, Carlo Azeglio Ciampi nel 1993-94 non aveva bisogno di fogli excel, pianificava tutto, compreso il programma di privatizzazioni, su un grande foglio bianco con scritto chi era il responsabile del singolo progetto, che a cadenze costanti veniva chiamato per valutare lo stato di avanzamento lavoro. Dove sono finiti i grandiosi programmi di privatizzazione scritti congiuntamente dal precedente ministro dell’Economia Giovanni Tria con il premier Conte? Se l’economia rimane invischiata nei lacci e lacciuoli del settore pubblico, come faremo a uscire dall’attuale pantano?
Un esempio tra i tanti. Colao, dopo una formidabile carriera manageriale, sta dedicando parte del suo tempo al mondo universitario (è advisor dell’Università Bocconi e di Harvard Business School). E’ convinto che bisognerebbe puntare più sul modello anglosassone che prevede poli di eccellenza e risorse distribuite in modo meritocratico. Questo si scontra col modello “a pioggia” italiano, a tutti un po’, senza guardare in alcun modo a livelli di servizio, carriera futura degli allievi, validità di didattica e ricerca. Cosa ha da dire in proposito il silente ministro dell’Università e della Ricerca Gaetano Manfredi? Essendo stato presidente dal 2015 al 2020 presidente della Conferenza dei Rettori delle Università italiane (CRUI) – concausa del degrado universitario – è lecito supporre che non sia d’accordo.
“L’unità morale viene prima della politica”, ha detto qualche giorno fa il presidente della Repubblica Sergio Mattarella. E siccome la risalita dalla pandemia sarà sofferta, è bene serrare le fila e guardare avanti. Se la Lady di Ferro Margaret Thatcher (1925-2013), primo ministro inglese dal 1979 al 1990, era solita dire che “la società non esiste, esistono gli individui”, alcuni secoli prima William Shakespeare (1564-1616) insegnava che “society is the happiness of life”, ossia “stare insieme è la felicità”. L’Italia per ripartire ha un bisogno drammatico di capacità di leadership, di élite che sappiano decidere e portare avanti i progetti nell’interesse del Paese tutto. Il tempo delle chiacchiere è finito.
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